Ci sono le voci, ci sono le speranze e le attese. Poi ci sono anche le parole però, che sembrano stroncare ogni ipotesi di pace sul tavolo. Nel solito gioco delle parti che va avanti da mesi, quando una tira di qua, l'altra lo fa all'opposto. E così, Hamas dice che non si è mai stati così vicini a un accordo per il cessate il fuoco a Gaza mentre il premier israeliano Netanyahu dice che non firmerà nulla se prima Hamas non sarà eliminata. In questo ormai consueto turbinio di fughe in avanti e marce indietro, chi ci rimette è sempre chi subisce gli effetti diretti del conflitto. Mentre circola voce che sarebbe attesa «al Cairo una delegazione israeliana di rappresentanti della sicurezza» per colloqui «con funzionari egiziani» su «questioni inerenti la sicurezza relative ai colloqui per un accordo per un cessate il fuoco». Ipotesi poi smentita. Un segnale che sarebbe di speranza, perché proprio al Cairo, si sono incontrate le delegazioni dei leader di Hamas, della Jihad islamica palestinese e del Fronte popolare per la liberazione della Palestina per discutere riguardo i negoziati in corso e l'ipotesi di accordo per il rilascio degli ostaggi. Hamas ha aperto: «La possibilità di raggiungere un accordo è più vicina che mai se il nemico smette di porre nuove condizioni - si legge in una nota - È volontà di tutti di porre fine all'aggressione contro il nostro popolo». I nodi restano sempre gli stessi. Un cessate il fuoco permanente chiesto da Hamas, mentre Israele chiede una pausa temporanea durante la quale alcuni degli ostaggi vengano rilasciati, seguita dalla ripresa dei combattimenti per completare lo smantellamento delle capacità militari e del gruppo. Posizione confermata dallo stesso Netanyahu che al Wall Street Journal spiega: «Non li lasceremo al potere a Gaza, a soli 30 chilometri da Tel Aviv. Non accadrà», specificando che non firmerà accordi sugli ostaggi se questo significherà concludere la guerra e che, in ogni caso, non libererà il leader estremista Marwan Barghouti. Una posizione contestata dalle famiglie degli ostaggi che da mesi criticano duramente Bibi, accusandolo di non volere davvero l'accordo per la liberazione dei rapiti.
Nel frattempo Israele resta impegnato su più fronti. È salito a 20 il numero dei feriti, tra cui alcuni bambini, dopo che un missile balistico lanciato dagli Houthi yemeniti ha colpito la zona di Giaffa, a Tel Aviv. «Il cuore del nemico sionista non è più sicuro» ha attaccato Hezam al-Asad, dei «ribelli yemeniti». In serata la risposta: le forze del Comando centrale Usa hanno fatto sapere di aver «condotto attacchi aerei di precisione contro un deposito di missili e una struttura di comando e controllo gestiti dagli Houthi» a Sana'a.
Il Papa ha condannato nuovamente i raid su Gaza e il ministero degli Esteri israeliano ha replicato: «La colpa dovrebbe essere attribuita esclusivamente ai
terroristi, non alla democrazia che si difende da loro». «La crudeltà è nei terroristi - dice il ministero - Purtroppo, il Papa ha scelto di ignorare tutto questo». «Basta con l'accanimento contro lo Stato ebraico», l'appello.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.