Biden, lacrime e orgoglio. "Il negoziato più difficile". Ma Trump: "Merito mio"

Il presidente: "Lavorato con il team di Donald". Il vertice della svolta tra Bibi e l'inviato del tycoon

Biden, lacrime e orgoglio. "Il negoziato più difficile". Ma Trump: "Merito mio"
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Donald Trump non ha perso tempo per rivendicare il suo ruolo decisivo nel raggiungimento dell'intesa tra Israele e Hamas. Il frasario è il solito, iperbolico e autocelebrativo: «Intesa epica conseguita senza che nemmeno fossi ancora alla Casa Bianca», «Gaza non sarà mai più rifugio di terroristi, estenderemo gli accordi di Abramo», «è l'inizio di grandi cose per il Medio Oriente e per il mondo». Ci sarebbero in effetti le pressioni esercitate su Netanyahu dell'inviato scelto dal prossimo presidente americano dietro la svolta che sta portando all'intesa tra su Gaza. Secondo il Times of Israel, che riporta fonti arabe, un singolo incontro tra Steve Witkoff e il premier israeliano avrebbe prodotto più risultati concreti di quanto fosse riuscito a ottenere in un anno intero il presidente, ora uscente, Joe Biden. Che però ieri sera, in un discorso commosso e vibrante a Washington ci ha tenuto a intestarsi un pezzetto di merito: «Con Donald Trump abbiamo fatto un gioco di squadra sull'accordo a Gaza, uno dei più difficili della mia carriera». Con una lacrimuccia per i civili palestinesi, che «hanno vissuto l'inferno, una sofferenza inimmaginabile, a causa della guerra».

La testata israeliana definisce «teso» il dialogo di sabato scorso nell'ufficio di Netanyahu a Gerusalemme tra il premier dello Stato ebraico e Witkoff, che aveva trascorso a Doha sede da lunghi mesi di estenuanti e fin qui improduttivi colloqui - l'intera settimana. Nella capitale del Qatar l'inviato di Trump aveva lavorato per un'intesa venisse annunciata prima di lunedì 20, giorno dell'inaugurazione del nuovo presidente degli Stati Uniti. Né Witkoff né Netanyahu hanno svelato il contenuto del loro colloquio, ma risulta che il primo abbia molto insistito affinché Israele accettasse subito, per rendere possibile l'accordo, dei compromessi impegnativi. Ed è un fatto che lunedì scorso quindi due giorni dopo l'incontro è arrivato da parte dei gruppi di negoziatori di Israele e di Hamas l'annuncio ai mediatori (Stati Uniti, Qatar ed Egitto) della loro accettazione «in linea di principio» della proposta per lo scambio tra ostaggi israeliani detenuti a Gaza e prigionieri palestinesi in carcere in Israele.

Mentre è noto che Trump era stato fin troppo chiaro con Hamas sulla necessità che accettasse un'intesa (promettendo in caso contrario «l'inferno su Gaza»), si può solo speculare, in questa fase, su ciò che Witkoff possa aver garantito a Netanyahu in cambio di una disponibilità israeliana che genera serie complicazioni politiche nella maggioranza che sostiene il governo. Pare logico che il tema sia stato quello cruciale dell'Iran, essendo altrettanto noto che Trump è più disposto di Biden all'uso di maniere forti. E questo soprattutto in un momento come l'attuale, in cui il regime di Teheran potrebbe scegliere di accelerare, con l'aiuto russo, il suo inquietante percorso verso la bomba atomica.

Gran parte del 2024 era trascorso in un continuo rincorrersi di voci che davano per prossimo o imminente un accordo per una seria tregua a Gaza e per la liberazione degli ostaggi israeliani, pretesa con insistenza dalla piazza di Tel Aviv. Ma quelle voci, esclusa una lontana breve tregua che aveva portato allo scambio di una manciata di prigionieri, erano sempre state smentite dai fatti, frustrando gli sforzi dei mediatori. E certamente aveva pesato il timore di Biden di sbilanciarsi troppo, nell'anno delle presidenziali Usa, verso una parte o l'altra.

Si arriva invece adesso all'intesa su una tregua divisa in fasi distinte, non troppo diversa di fatto da quella che già sembrava vicina lo scorso maggio. Per sbloccare l'impasse, dopo che il povero Antony Blinken aveva consumato invano le suole delle scarpe in infinite missioni in Medio Oriente, c'è voluto mister Witkoff, armato di bastone e carota.

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