La parola d'ordine a Washington è: «Calma e sangue freddo». Nel giorno in cui comincia a farsi più evidente la portata della controffensiva ucraina contro le forze di invasione russe, l'atteggiamento dell'amministrazione resta prudente. «Non parlo. La situazione è in corso di evoluzione», ha detto il presidente Joe Biden, prima di prendere parte al Pentagono alla cerimonia per il Ventunesimo anniversario dell'11 Settembre. Eppure, ricostruendo quanto è avvenuto negli ultimi giorni, appare evidente che, sebbene non ancora consolidata, la svolta nel conflitto potrebbe esserci stata veramente agli occhi di Washington.
La giornata chiave è quella dell'8 settembre. Una concatenazione di eventi che non può essere casuale e che solo una sofisticata regia, concordata tra Washington e Kiev, può avere deciso. Mentre il mondo era distratto dall'aggravamento delle condizioni di salute e poi dalla scomparsa delle regina Elisabetta, il segretario di Stato Antony Blinken volava a sorpresa nella capitale ucraina. «Un segnale importante», secondo il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Blinken, parlando con i giornalisti, si lasciava sfuggire una frase indicativa della fiducia con cui Washington guarda alle capacità militari ucraine: «Con un colpo riescono a fare quello che i russi tentano di fare con 15 o 20 colpi». Contemporaneamente, il presidente Biden era in teleconferenza con i principali alleati occidentali, compreso Mario Draghi, per sottolineare «l'importanza del continuo sostegno militare all'Ucraina». Lo stesso giorno, il segretario alla Difesa, Lloyd Austin, era nella base di Ramstein, in Germania, a presiedere la riunione del gruppo di Contatto sull'Ucraina (presente anche il ministro della Difesa Lorenzo Guerini), nel quale annunciava 675 milioni di dollari di nuovi aiuti militari a Kiev, oltre ai 2 miliardi di dollari appena annunciati dal dipartimento di Stato. Non ultimo, il direttore della Cia, William Burns, parlando in una conferenza a Washington affermava che la Russia pagherà «a lungo» un «prezzo altissimo» per la guerra.
Insomma, nel momento in cui il sostegno dell'Europa a Kiev cominciava nuovamente a vacillare, sotto il peso della crisi energetica e delle mosse aggressive del Cremlino, con l'annunciato stop alle forniture di gas, i massimi vertici politici, diplomatici, militari e di intelligence Usa scendevano in campo in prima persona per testimoniare che quella attuale può essere una svolta per le sorti del conflitto e che non è questo il momento di mollare. Non a caso, Biden riferiva al termine del colloquio con gli altri leader che, «nonostante la crisi energetica, in Europa c'è forte unità sul sostegno all'Ucraina». Una frase che pochi giorni fa poteva apparire di circostanza, ma che oggi che i contorni della controffensiva ucraina si fanno più chiari, va letta in una chiave diversa. Ed è chiaro che Biden, appena l'avanzata ucraina sarà consolidata, userà questo successo militare anche sul fronte interno, in vista delle elezioni di Midterm. La sua amministrazione, a partire dal 2021, ha destinato all'Ucraina 15,2 miliardi di dollari di aiuti militari. Tutto questo, finora, con il consenso bipartisan del Congresso, che però rischia di sfaldarsi sotto le bordate retoriche di Donald Trump, che più o meno esplicitamente accusa la Casa Bianca di spendere soldi per una guerra che a suo giudizio non ha valore per gli interessi americani.
Come ha detto Biden, «la situazione è in corso di evoluzione», ma non può essere un caso nemmeno la telefonata di domenica del presidente francese Macron a Vladimir Putin.
Ufficialmente, per parlare della pericolosa situazione nella centrale nucleare di Zaporizhzhia. Ufficiosamente, per testare il polso del presidente russo, valutare la sua reazione ai cambiamenti in atto sul campo di battaglia, e soppesare la sua disponibilità a un negoziato.
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