Arcuri fuori, dentro un generale di corpo d'armata dal curriculum internazionale di tutto rispetto.
Per chi aveva prematuramente iniziato a lagnarsi per la scarsa «discontinuità» esibita da Mario Draghi, ecco la sonora smentita: in una settimana, l'intera cupola contiana che ha gestito (o malgestito) in questi mesi sia la lotta al virus che la progettazione del Recovery plan è stata completamente smantellata, e sostituita. Senza proclami, senza annunci roboanti, senza autocelebratorie conferenze stampa fiume modello Fidel Castro. Ma anche senza esitazioni e infinite mediazioni, seguendo un disegno già ben chiaro di come organizzare una fase di governo tutta nuova, che ha davanti sfide immense.
Ieri nessuno se lo aspettava, e pochissimi - anche nel governo - ne erano informati, tanto che secondo alcuni persino il ministro della Sanità Speranza è stato avvertito solo all'ultimo istante: così, quando nel primo pomeriggio la bomba è esplosa, il rumore è stato fragoroso. Prima la convocazione del Commissario straordinario per l'ermergenza Covid Domenico Arcuri a Palazzo Chigi e un colloquio faccia a faccia con il premier. Poi, dopo il giuramento dei sottosegretari, l'annuncio ufficiale: Arcuri se ne va, e al suo posto arriva il generale Francesco Paolo Figliuolo, che nell'Esercito ha ricoperto molteplici incarichi in Italia e all'estero, dal comando Nato in Kosovo a quello della missione militare italiana in Afghanistan.
Il contestatissimo commissario uscente aveva capito da giorni cosa bolliva in pentola, e quindi - raccontano - non ha avuto dubbi su cosa volesse dire l'improvvisa convocazione. Il colloquio con Draghi, dicono da Palazzo Chigi, è stato «tranquillo e molto collaborativo», ed era evidente che Arcuri si aspettava la decisione. Nel comunicato di congedo, l'ormai ex commissario si leva la soddisfazione, dopo gli auguri di buon lavoro al successore, di ringraziare «chi mi ha dato la possibilità di occuparmi della più grande emergenza che la storia recente ricordi», ossia il governo precedente. Quel Conte che, negli ultimi mesi, era apparso avvinto ad Arcuri come all'edera, pronto a moltiplicarne i poteri e a difenderlo da ogni critica e accusa ma anche ad usarlo come scudo umano su cui far riversare tutti gli strepiti contro i ritardi, le assenze e gli errori del governo.
Il metodo di lavoro adesso è diverso, e Palazzo Chigi diventa il cuore della responsabilità politica, con il nuovo premier a capo di una selezionatissima macchina operativa, chiamata a portare a casa risultati in tempi certi, e non più a fargli da parafulmine o da stanza di compensazione. Non più scatole cinesi di task force e comitati, ma Esercito e Protezione civile che, sotto la regia del nuovo Commissario sono chiamati a dispiegare la più massiccia campagna di vaccinazione della storia recente. Mentre finalmente si mette fine all'anarchia regionalistica dei piani sanitari e vaccinali cucinati da ogni governatore: «Una scelta che si poteva fare prima», sottolinea il Pd Borghi, ricordando che già lo scorso autunno aveva (inutilmente) sollecitato in aula Conte ad avvalersi dell'articolo 120 della Costituzione, avocando al governo i poteri delle Regioni durante un'emergenza.
Nella maggioranza c'è chi sottolinea i risvolti politici dell'operazione: «È iniziata la de-dalemizzazione della gestione dell'emergenza», esulta un esponente dem con scarse simpatie per la «Ditta» ex Pci. «Draghi - spiega ancora - sta rapidamente smontando quella filiera di potere che ha avuto grandissimo ascendente su Conte, e larghi margini di azione nella lotta alla pandemia, e che passava per l'asse Arcuri-Speranza», entrambi riconducibili alla scuola dalemiana. E infatti il saluto di Speranza ad Arcuri ha il tono amaro di chi digerisce male la scelta. I più maligni disegnano acrobatici link tra l'addio di Arcuri e l'inchiesta sulle mascherine cinesi che ha lambito il super-commissario, approfittandone per ricordare il grande attivismo dalemiano nel promuovere il dialogo politico e commerciale con il regime cinese. Ma i più interessati all'analisi politica sottolineano un altro aspetto: «Gran parte della politica ancora non ha capito chi è Draghi e come intende operare», dice un dirigente di primo piano del centrosinistra. «Sta utilizzando appieno, per risolvere i dossier e non per fare il pavone come il suo predecessore, i poteri democratici che gli garantisce lo stato di emergenza.
E sta costruendo un governo nel governo, in cui solo una selezionata cerchia di politici e tecnici di peso co-determinano le decisioni, bypassando il teatrino velleitario dei partiti e mettendoli davanti al fatto compiuto».
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