Quando quattro anni fa noi del Giornale andammo tra gli scavi di Pompei rubando antiche pietre, saggiamente le restituimmo subito; eravamo infatti al corrente che fregare reperti archeologici porta sfiga. A dircelo non era stato un tombarolo sotterrato dalla malasorte, ma un collega campano che di questa «maledizione» sapeva tutto: «Puoi far fessi i custodi, ma non la sfortuna. Lei ti raggiungerà ovunque». Implacabile, come una cartella esattoriale. Unico rimedio per tornare a vivere tranquilli? Restituire il maltolto.
Fu per questo che dopo il «colpo» (a scopo giornalistico) riponemmo le storiche pietre lì dove le avevamo prelevate, senza che nessuno dei sorveglianti si accorgesse di nulla. Il bravo ed efficiente sovrintendente pompeiano, Massimo Osanna si adirò non poco. Ma fu costretto ad ammettere: «Sul fronte sicurezza, dobbiamo fare di più». Osanna è stato di parola e, negli ultimi anni, il sito archeologico più affascinante del mondo ha fatto progressi anche sotto questo aspetto tanto da diventare un modello virtuoso a livello internazionale.
Intanto la poco nobile categoria dei «pentiti archeologici» si amplia sempre di più, non si sa se per paura della jella o per disinteressata resipiscenza. L'ultimo dei «furbetti dello scavetto» colto da rimorso è un turista americano - tale J.T. - che ha spedito un pacchetto a Gabriel Zuchtriegel, direttore del parco archeologico di Paestum (altra eccellenza della cultura italiana). Il professore non credeva ai suoi occhi dinanzi al contenuto del plico: tasselli di un prezioso mosaico, sottratto «ingenuamente» dagli scavi.
Il mittente è, appunto, il signor J.T. di Washington, autore, 50 anni fa, del misfatto. «Recentemente - si legge nella lettera di accompagnamento - ho visto un programma dedicato alle bellezze di Paestum e, preso da vecchie memorie, mi sono ricordato dell'esatto momento in cui, durante una visita guidata all'antica colonia greca, avevo sottratto con ignoranza, importanti reperti. Un gesto che, negli anni, avevo dimenticato. Ho quindi deciso di restituirvi le pietre. Per favore, accettate le mie scuse per il mio comportamento spaventoso».
«Quello di J.T. - commenta il direttore -è un bel gesto ed è un indice di come le persone, inizino a rendersi conto che il gesto di portare via oggetti da un'area archeologica rappresenti un danno enorme, che tocca ogni sito culturale aperto al pubblico. Purtroppo non si sa da dove siano stati esattamente rubati i tasselli, né, purtroppo, si saprà mai. Sono circa una quarantina tutti bianchi e sconnessi: è quasi impossibile capire la loro provenienza. I reperti saranno inventariati e conservati. Apprezziamo comunque il bel gesto e ci fa piacere notare che l'immagine del nostro sito archeologico arrivi anche oltreoceano».
È già il secondo «pentimento», a distanza di anni, che investe il parco di Paestum: a inizio maggio, infatti, un altro visitatore americano aveva restituito una piccola scultura da lui sottratta nel lontano 1958. A Pompei hanno dovuto addirittura riservare un'intera area ai reperti restituiti. Tempo fa ne nacque addirittura una mostra dal titolo «Quello che mi porto via da Pompei».
I pezzi più pregiati? La lettera di un turista spagnolo che aveva trafugato un pezzo di intonaco decorato, e che ha restituito il bottino mettendo nero su bianco come quel furto fosse stato «foriero di disavventure e disgrazie familiari». Idem per una signora inglese che nel 2015 inviò un pezzo di mosaico rubato negli anni '70 dai suoi genitori: «Vi restituisco quanto prelevai indebitamente nel 1983 e che mi ha portato solo disgrazie».
Storia analoga per la statuina in terracotta rubata da una signora canadese durante il viaggio di nozze; mentre i piccioncini stavano
rientrando in patria, il neosposo morì d'infarto: la statuina trafugata a Pompei era nella sua valigia. La vedova, dopo la restituzione del reperto, si è unita in matrimonio con un ricco industriale.Altro che maledizione...
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