Un duro colpo per la mafia ma anche una bella botta per l'opposizione al governo. Proprio mentre sembrava che il caro benzina potesse indebolire l'immagine dell'esecutivo è piombato l'arresto dell'ultimo padrino, con eco mondiale, un successo investigativo che inevitabilmente si riverbera anche sul governo. Uno smacco per chi aveva cavalcato per anni il filone giornalistico del centrodestra amico dei mafiosi. Ma non tutti a sinistra si rassegnano a doversi complimentare per una medaglia che finisce anche al petto degli avversari. Gli irriducibili non si arrendono e anzi rilanciano le teorie della trattativa per mascariare (in gergo siculo: gettare sospetti, infangare) l'operazione che ha portato alla cattura del boss. In prima linea c'è Saviano grande esperto di criminalità organizzata e grande nemico del centrodestra. Non solo il governo non ha nessun merito - spiega il giornalista - ma in quanto centrodestra è mafioso per definizione, anche a poche ore dall'arresto del più importante latitante di Cosa Nostra. Una prova che il governo è «in prima linea contro la mafia», come premier nel suo discorso programmatico la premier Meloni? Macché, il contrario: «Questo è uno degli esecutivi meno antimafiosi che il Paese abbia avuto. La mafia fa affari con chi sta al potere. Lo ha fatto con destra e sinistra. Ma la predilizione per la destra è dimostrata da una infinità di atti e documenti».
L'autore di Gomorra dà anche corda alla teoria del complotto - molto in voga tra i commentatori da bar sui social - su un accordo dietro l'arresto, una sorta di messinscena concordata dalla mafia con i vertici delle forze di polizia: «Di sicuro i tempi erano maturi» dice e non dice Saviano. Altri sono più espliciti, come l'ineffabile segretario di Rifondazione Comunista (che ha più tweet che elettori): «Risulta davvero fuori luogo il profluvio di proclami di esponenti della destra che cercano di rivendicare il merito della cattura. Continua forse la trattativa Stato-Mafia e con chi nello Stato?» chiede Maurizio Acerbo, segretario Prc, citando la «previsione» fatta a novembre da Salvatore Baiardo, uomo di fiducia dei clan, sull'arresto imminente di Messina Denaro in cambio del dietrofont sul carcere duro per i boss (dietrofont che non c'è mai stato). Si torna dunque alla teoria sulla trattativa Stato-mafia, un cavallo di battaglia del Movimento Cinque Stelle e di un filone giornalistico che si è abbeverato alle inchieste di alcuni magistrati, poi smentiti dalla corte d'assise d'appello di Palermo, la cui sentenza ha stabilito che l'iniziativa dei vertici del Ros dopo l'omicidio Falcone non mirò affatto a «creare le basi di un accordo politico» con la mafia, l'unica finalità dei Carabinieri era «fermare le stragi».
Tra i pm fautori della trattativa il più noto è Antonio Ingroia, prima magistrato poi aspirante politico con poca fortuna (mai eletto). L'ex pm non vuole che si esageri l'importanza dell'arresto, bisogna «tenere i piedi saldi a terra», dice, perchè «non è stato arrestato il capo dei capi. Messina Denaro non era il capo dei capi. Cosa nostra è ancora viva e vegeta, è ancora un'organizzazione criminale pericolosa». E poi c'è sempre la trattativa, che non muore mai, almeno nella testa di Ingroia, convinto di una «copertura istituzionale di cui certamente ha goduto e che gli ha consentito di rimanere latitante per 30 anni», perciò bisogna «capire il contesto in cui è maturato l'arresto, se c'è un sentore lontano che si sia consegnato o sia stato consegnato». Sospetti, ombre, allusioni. Le stesse che rilancia un altro magistrato specializzato nella presunta trattativa, Nino di Matteo, in passato considerato in quota Movimento Cinque Stelle (prima di litigare con l'ex ministro Alfonso Bonafede per il mancato incarico al Dap). «Non si pensi che lo Stato ha sconfitto Cosa Nostra», avverte sulla Stampa.
Per poi alzare la cortina fumogena: «È assai probabile che la sua latitanza non sia dovuta solo all'abilità del fuggiasco ma anche alle protezioni di cui ha goduto. Non posso non ricordare che di questo governo fa parte un partito, Forza Italia, fondato anche da Marcello Dell'Utri, condannato in via definitiva per mafia».
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