Di quel momento che è diventato il simbolo di Tangentopoli Gherardo Colombo, il filosofo del pool di Milano negli anni di Tangentopoli, ne parla come se fosse stato solo un testimone non un protagonista. «Enzo Carra in manette al processo di Milano? Io non sapevo nulla degli schiavettoni - risponde -, l'ho visto solo in fotografia». Pensate cosa succederebbe se oggi rispondesse così il magistrato ungherese che ha voluto lo stesso rito giustizialista per Ilaria Salis. Tutti tendono a rimuovere o a dimenticare che nella Milano di Tangentopoli la giustizia in Italia era amministrata più o meno come nella Budapest di oggi. Ma è un errore perché si cambia davvero solo se si ha memoria di ciò che si è sbagliato. E colpisce che ieri alla presentazione del libro postumo di Enzo Carra - giornalista, portavoce del segretario della Dc Arnaldo Forlani e poi parlamentare - quell'immagine segno di un'epoca, che ci richiama alla mente i fatti di Budapest che scandalizzano tutti in questi giorni, sia rimasta solo sullo sfondo. In quel libro che ha come prefazione un dialogo tra Carra, l'ex imputato, e il suo accusatore di allora, il pm Gherardo Colombo ormai in pensione, emerge la sofferenza di chi sperimenta quel calvario. «E quel dialogo - osserva Giorgio Carra, il figlio, rimarcando il paradosso - dimostra che mio padre era innocente».
In fondo la vita è piena di paradossi, solo la sofferenza, dell'amico descritta da Gianni Letta, accomuna tutti coloro che si sentono accusati ingiustamente. Ecco perché il garantismo non dovrebbe avere colore. Nella sala c'è anche Antonio Bargone, già parlamentare del Pci, poi dei Ds, e ancora sottosegretario del governo Prodi, da due anni è sotto schiaffo per un'indagine della procura di Benevento. «La tengono lì - sospira mentre non nasconde il disappunto per le parole di Colombo - ma non si rendono conto dei danni che provocano».
Già, solo chi li sperimenta sulla propria pelle si rende conto di quanto siano infernali i meccanismi della giustizia. E di quanto sia importante difendere i diritti dell'imputato. Sono principi che vanno salvaguardati sempre e comunque e non coniugati con la convenienza politica. Vedere la Salis in catene non può non scandalizzare, ma forse proprio per questo sarebbe necessaria una riflessione «distaccata» sul passato nella consapevolezza che la seconda Repubblica è nata anche sugli «orrori» in tema di garantismo di Tangentopoli. Un peccato originale che ci portiamo ancora dentro ed è la ragione per cui la riforma della giustizia continua ad essere una chimera. «Noi - spiega Alessandro Cattaneo, deputato di Forza Italia - abbiamo riportato a casa Zaki e faremo la nostra parte anche per la Salis. Ma una riflessione sugli orrori di Tangentopoli dovrebbe partire dalla sinistra».
Già, il garantismo dovrebbe diventare un patrimonio comune, un principio di civiltà condiviso. «Sarebbe un passo importante - annuisce il piddino Matteo Orfini - a partire da un esame spietato della condizione carceraria. Ma proprio perché è una proposta di buonsenso non si farà».
Solo che senza questa condivisione il garantismo continuerà ad essere condizionato dai «colori». «Se la stessa cosa della Salis - si chiede il leghista Stefano Candiani - fosse successa ad uno di destra in un paese governato dai socialisti, la sinistra avrebbe protestato? La seconda Repubblica è nata sulla foto delle manette di Carra, ma non c'è mai stata una riflessione».
Appunto, se non si fanno i conti con il passato si resta indietro. Si nasconde sotto il tappeto la sporcizia tirata fuori dall'ex-magistrato Palamara. Di Pietro fa una difesa di bandiera di Tangentopoli. E magari senti Colombo dire che Tangentopoli fu lo strumento per far sparire i partiti della prima Repubblica «che non avevano più ragione di esistere dopo la caduta del muro di Berlino». Tesi che fa inalberare ex dc come Giuseppe Gargani o Vincenzo Scotti e pone un interrogativo: ma perché ad un fatto politico come la caduta del Muro, si diede una risposta giudiziaria?
E gira che ti rigira torniamo a quello scontro tra politica e magistratura che esplose con Tangentopoli e che ha attraversato tutta la Seconda Repubblica.
Con un'unica conseguenza: la debolezza della politica. In questi giorni abbiamo saputo da uno dai protagonisti che legge finanziaria nell'anno «clou» di Tangentopoli, il 1993, fu scritta dall'allora ministro Cassese, dal pm Davigo nell'ufficio del banchiere Cesare Geronzi
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