A vedere gli ultimi sondaggi di qualche giorno fa Giorgia Meloni, grazie alla diatriba stile slang popolano con Vincenzo De Luca, ha guadagnato punti nel Belpaese. Parola di Alessandra Ghisleri. Come pure da queste previsioni emerge che tutti gli altri partiti sommati insieme, da Renzi fino ai grillini, superano le percentuali del centro-destra alle europee e si può star sicuri che anche se questo è sempre stato un dato costante (la coalizione della Meloni non ha mai superato il 50%) Schlein, Conte e compagni useranno l'argomento per dire che l'attuale governo è in minoranza in Italia.
Un argomento che può essere utilizzato quando si parla di referendum, ma non quando si parla, appunto, di governo perché se poi vai a vedere i sondaggi della scorsa settimana sulla regione Piemonte ti accorgi che l'attuale governatore del centro-destra, Cirio, viene dato per vincente al punto che la sinistra si è accontentata di presentare in alternativa una mezza sconosciuta. E a Firenze, da sempre roccaforte della sinistra, il Pd rischia di perdere se non trova un'intesa con Matteo Renzi. Da questo breve «excursus» emergono le tante contraddizioni della politica italiana. La principale riguarda l'estrema incapacità del cosiddetto «campo largo» (cioè il progetto delle attuali opposizioni), che potenzialmente potrebbe anche esprimere la maggioranza del Paese, a trasformarsi in un «campo di governo». O meglio, almeno per ora, questo schieramento può avere solo una capacità interdittiva, è unito sui «no» e non su altro. Per cui grazie ai referendum confermativi può avere la capacità di bloccare le riforme costituzionali del governo come il «premierato» o la giustizia. Può bloccare, insomma, i tentativi di modernizzare il Paese e la sua Carta. Tant'è che dalla Schlein, ad Orlando tutti rimarcano questa condizione e le possibili conseguenze sul governo. «Se di fronte a questo dato non ci mettiamo tutti insieme - va oltre Nicola Zingaretti - ci inseguiranno per strada con i forconi». Ma si tratta, questo è il punto, solo di un potere «negativo». E qui siamo al secondo corno del problema: nella maggior parte dei casi, infatti, quando la competizione riguarda il governo del Paese, della regione o dei comuni il «campo largo» o non si manifesta, o è perdente. Quando si passa dal «no» al «si» rischia di evaporare. È un limite che si sta «cronicizzando» perché, a parte la congiuntura astrale in cui si sono svolte le elezioni sarde, negli ultimi mesi è sempre andata in questo modo. I soggetti che dovrebbero comporre il «campo largo» o sono troppo divisi sul piano programmatico o soffrono complessi di incompatibilità gli con gli altri che ne precludono le ambizioni.
L'epilogo di queste contraddizioni è che il Paese può essere gestito, governato anche su temi delicati (vedi la guerra in Ucraina), può anche essere cambiato con delle leggi importanti dall'attuale coalizione di centro-destra, ma quando si tratta di riforme profonde che intervengono pure sulla nostra Costituzione incombe l'eventualità che rimanga paralizzato. Il «campo largo» per ora non rappresenta un'alternativa di governo ma può bloccare il processo riformatore quando va ad intaccare interessi forti e tabù antichi. Ed è inutile aggiungere quanto ce ne sia bisogno.
Per cui alla fine, dopo le Europee, almeno in Italia (in Europa si vedrà) resteranno sempre le stesse opzioni. O l'attuale maggioranza di governo riuscirà a convincere più del 50% degli italiani (dai sondaggi per le europee oggi non è così). O il premier porterà avanti le riforme accettando la sfida e il rischio dei referendum. O, ancora, a un certo punto rinuncerà alle riforme altisonanti accontentandosi del governo e delle riforme possibili.
O cercherà di allargare il suo schieramento, di allearsi con altri soggetti dell'area centrista e liberale, trasformando la sua maggioranza di «governo» in una maggioranza «riformatrice». Molto dipenderà dalle ambizioni che si coltivano a Palazzo Chigi.
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