Caos in Siria, oltre mille morti. Alawiti nel mirino del governo, che firma un'intesa con i curdi

Le forze separatiste integrate nell'esercito. Una fonte: "Ad Aleppo in azione i droni turchi"

Caos in Siria, oltre mille morti. Alawiti nel mirino del governo, che firma un'intesa con i curdi
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La rappresaglia dei presunti «talebuoni» in Siria, nei confronti della minoranza alawita del deposto presidente Assad, avrebbe lasciato sul terreno 1130 vittime. Almeno 890 sarebbero civili, compresi anziani, donne, 12 bambini e un neonato di 6 mesi. Il ministero della Difesa ha annunciato la fine delle operazioni nella regione costiera a nord di Damasco, fra Latakia e Tartus, storica roccaforte alawita, subito dopo l'annuncio di un'inchiesta sui crimini. Il colonnello Hassan Abdel-Ghani ha proclamato lo stop lanciando, però, un nuovo monito: «Ai resti del regime sconfitto e ai suoi ufficiali in fuga, il nostro messaggio è chiaro ed esplicito: se tornate, torneremo anche noi. E troverete davanti a voi uomini che non si ritireranno e non avranno pietà».

La situazione è ancora esplosiva ad Aleppo dove le milizie curde che controllano i quartieri Sheikh Maksoud avevano cercato di occupare altre zone della città in mano ai governativi del presidente ad interim, auto nominato, Ahmed al-Sharaa, che viene da un passato jihadista doc. Una fonte del Giornale rivela che «sono intervenuti i droni turchi bombardando i quartieri curdi e frenando l'avanzata. Da domenica continuano a sparare i cecchini da una parte e dall'altra». Mazloom Abdi, il comandante della forze curde nell'Est del paese, però, ha firmato un accordo con al-Sharaa per l'integrazione delle Forze democratiche siriane nell'esercito di Damasco.

A sud, dalla roccaforte drusa di Sweida, si minaccia di tornare a marciare sulla capitale. Le milizie druse come al-Karama hanno già stretto contatti con l'esercito israeliano che si è spinto sulle alture del Golan. Israele, che appoggia tacitamente curdi e drusi, persegue la strategia del divide et impera. Una Siria debole e frastagliata fa comodo. L'ultima mattanza è stata una rappresaglia a un'imboscata nei confronti delle forze governative, nella zona di Latakia, con 16 morti. Gli alawiti, dopo mesi di profilo basso, si stanno riorganizzando con gruppi armati composti da ex militari guidati dai generali del regime di Assad. Il Consiglio militare per la liberazione della Siria, nella zona di Latakia, fa riferimento a Ghiath Dallah, uno dei comandanti dell'ex 4° divisione dell'esercito, che si era macchiata di crimini. A Tartus, dove sono ancora presenti i russi nella base navale, opera lo Scudo costiero guidato dall'ex generale delle forze speciali, Muqdad Fatiha. Beit Ana, dove è avvenuta parte della strage di civili, è il feudo di Suhail al-Hassan, ex capo delle Forze Tigre, un reparto di élite del passato regime. I seguaci di Assad avevano preso il controllo di piccoli centri nell'entroterra dell'area alawita scatenando la rappresaglia governativa. I massacri sarebbero stati compiuti soprattutto dai tagliagole ceceni, uzbeki e uiguri, che fanno parte della costellazione jihadista legata ad Al Qaida. E sono schierati al fianco del cartello islamista, Hayat Tahrir al Sham, al potere a Damasco.

Di mezzo sono finiti anche i cristiani, come denuncia «Aiuto alla chiesa che soffre»: «Un padre e un figlio appartenenti ad una chiesa evangelica di Latakia, che viaggiavano in auto, sono stati fermati e uccisi, così come il padre di un sacerdote a Banias». Pure ad Homs e Aleppo i cristiani hanno paura.

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