Marco Cappato è entrato nella stazione "Duomo" dei carabinieri di Milano per autodenuncairsi dopo la morte, avvenuta ieri in Svizzera, di Dj Fabo. "Il mio obiettivo è portare lo Stato italiano ad un’assunzione di responsabilità" ha detto il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, che ha accompagnato a Zurigo il 40enne rimasto tetraplegico e cieco dopo un incidente stradale. L'esponente di Radicali italiani ora rischia una pena fino a 12 anni di carcere. "Entrerò e racconterò semplicemente come ho fatto, come ho aiutato Fabo a ottenere l’assistenza medica per la morte volontaria". Circondato da telecamere e taccuini Cappato ha anticipato il contenuto dell’autodenuncia. "Sarà compito dello Stato - ha aggiunto - decidere se girare la testa dall’altra parte o consentirmi di difendere le mie ragioni nell’aula di un tribunale. Credo che lo Stato si debba assumere la responsabilità, di far sì che solo chi ha 10mila euro e la condizione di trasportabilità possa andare in Svizzera o altrimenti debba subire il suicidio nelle condizioni più terribili o una tortura di vita che non vorrebbe. Se ci sarà l’occasione di difendere davanti a un giudice quello che ho fatto, lo potrò fare in nome dei principi costituzionali di libertà e responsabilità fondamentali che sono più forti di un codice penale scritto in epoca fascista, dove ancora non si fa differenza tra aiutare un malato che muore per sofferenza e invece sbarazzarsi in prima persona di chi ci si vuole liberare. Il codice penale non fa questa differenza, la Costituzione invece sì". Infine Cappato polemizza: "Se i malati terminali potessero bloccare le strade come altri hanno fatto, avremmo avuto la legge sull’eutanasia quarant’anni fa. Ma il difetto di queste persone è che non si vedono e non si possono far sentire".
Ai microfoni di Radio 24 Cappato ha chiarito che su Fabo "non c’è alcun tipo di istigazione, anzi abbiamo cercato di dissuaderlo fino alla fine; aiuto sì, perché io sabato mattina l’ho caricato sulla macchina con la sua carrozzella per cinque ore di un viaggio francamente straziante".
"Nessuno ritiene la vita di una persona disabile grave indegna di essere vissuta: la valutazione è individuale, di quella persona, ed è quella la soglia dietro la quale ritengo ciascuno si debba fermare: nelle sue stesse condizioni altri magari farebbero altre scelte, Dj Fabo non è un modello e non voleva esserlo". Cappato ha proseguito il proprio racconto: "Mi diceva: 'io al Giambellino, al mio quartiere conosco tutti, se tu non mi aiuti, uno che mi tira un colpo di pistola lo trovo', questo era il livello di esasperazione. Fino all’ultimo tutti gli abbiamo detto che si poteva tornare indietro, ovviamente, ma lui non ha mai avuto ripensamenti, anzi era infastidito, quasi innervosito di questo continuo nostro richiamo alla possibilità di ripensarci. A un certo punto aveva il terrore di non riuscire, essendo completamente paralizzato, ad azionare il pulsante con un movimento della bocca. Era la sua unica paura, e quando ha visto che ce la faceva, dopo aver fatto una prova, si è rilassato, ha cominciato a scherzare, ha raccomandato agli amici di mettersi la cintura quando vanno in macchina, ha potuto scambiare parole di amore e di ricordo di una vita con chi gli stava vicino".
"Valuteremo l’autodenuncia di Marco Cappato quando arriverà in procura", fa sapere il procuratore capo di Milano, Francesco Greco. "Ci sono diversi profili che vanno valutati, compresa la giurisprudenza della Cedu (Corte Europea dei diritti dell’uomo) in questa materia".
Il fascicolo sull’eventuale inchiesta verrà assegnato al pm Tiziana Siciliano, competente per questo ambito. "Prima di parlare di eventuali reati bisogna vedere esattamente cosa è successo, io al momento non lo so", ha precisato Greco.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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