"Caro sindacato, spiegami tu come posso fregare la scuola"

Migliaia di docenti accettano di trasferirsi dal meridione al settentrione. Ecco le loro "suppliche" ai patronati sui trucchi per tornare presto a casa

Il maestro Sperelli (Paolo Villaggio) con i suoi alunni nel film "Io speriamo che me la cavo"
Il maestro Sperelli (Paolo Villaggio) con i suoi alunni nel film "Io speriamo che me la cavo"

«Ho accettato la cattedra di Filosofia a Milano, ma c'è un modo per tornare al più presto nella mia città, Reggio Calabria?». «Sono un precario siciliano, insegnerò Ragioneria in un istituto di Firenze in qualità di supplente. Ma devo proprio rimanere in Toscana per un anno intero?». «Sono un docente di Latino di Torre Annunziata, prenderò servizio in un liceo di Treviso. Ma come farò con 1.200 euro di stipendio a sopravvivere qui dovendo pagare 800 euro di affitto?». «Sono una professoressa di Bari, salirò a Verona per insegnare Scienza in un istituto tecnico-industriale, ho lasciato in puglia i miei due bambini piccoli. È vita questa? Posso beneficiare di qualche permesso straordinario?».

Di lettere come queste Sostene Codispoti, «memoria storica» del sindacalismo scolastico, ne ha lette a centinaia. Potrebbe farne un libro. Codispoti è stato estromesso dallo Snals perché a lui le «zone d'ombra» non piacciono. Tanti suoi colleghi invece - attualmente nella stanza dei bottoni - alle zone d'ombra sono abituati e nella palude dei codicilli che aggirano le norme ci sguazzano. Fedeli a una «tradizione» che nel mondo della pubblica istruzione consente (sempre «legittimamente», per carità) di fare le cose più ingiuste. Compreso la scalata delle graduatorie scolastiche grazie a punteggi spesso farlocchi e che magari fanno retrocedere agli ultimi posti chi prima era in testa alla lista. Per decenni abbiamo assistito allo scandalo di prof che dal sud arrivavano al nord (il flusso opposto è sempre stato più raro), firmavano la «presa di servizio» e il giorno dopo già chiedevo il trasferimento a casa. Un andazzo, inconcepibile per un paese civile, che però garantiva sinecure, prebende e rendite di posizioni un po' a tutti: sindacati, docenti e politici. La scuola va in malora, ma a lor signori va bene così. Lo «sconfinamento» dei prof precari in regioni diverse da quelle di provenienza è un'ingiustizia, uno scandalo, un perfetto meccanismo per creare una guerra tra poveri (prof del nord vs prof del sud, esattamente l'incontro di boxe che si replicherà quest'anno), ma è anche lo strumento ideale per gestire «pacchetti» di migliaia di iscritti tra prof e personale Ata, tutta gente da blandire per poi ritrovarsela amica in tempi di battaglia elettorale. Il primo a cercare di spezzare questa catena perversa fu nel 2006 il ministro Fioroni, mettendo dei paletti alla libertà di spostarsi da una regione all'altra. Ma a seguito di una sentenza della Corte costituzionale e di un pronunciamento della Corte di giustizia europea che hanno ritenuto tali limitazioni «discriminatorie», si è tornati allo status quo ante . E oggi, con il netto calo al sud delle iscrizioni (in un anno sono state eliminate circa 80 mila cattedre), riecco il caos. Per gli insegnanti meridionali non c'è posto nelle «proprie» regioni e quindi riparte la «transumanza». Ma anche se fisicamente, ad esempio, dalla Sicilia si va in Lombardia, «mentalmente» si resta giù dove - comprensibilmente - si cercherà di tornare al più presto, perché magari lì si è lasciata la famiglia; o perché al nord con poco più di mille auro al mese non si riesce a campare. In teoria, oggi, la legge prevede il divieto di trasferimento per almeno 3 anni (erano 5, ma poi l'ex ministro abbassò il «vincolo di permanenza»), ma questo è un vincolo puramente formale. Basta un bel certificato medico, e il gioco è fatto.

Già tre anni fa la Regione Veneto propose di introdurre la regola della «residenzialità» ma si trovò dinanzi al muro di gomma del Quirinale che «scongelò» le liste recependo le proteste delle Regioni del Sud. Alcune cifre sono impressionanti: per la scuola primaria nella provincia di Bergamo, il 100% delle cattedre è stato assegnato a docenti provenienti dal sud; il 98% nella provincia di Milano; l'84% nella provincia di Torino e il 91% per nella provincia di Lucca.

Una possibile soluzione? L'introduzione di concorsi pubblici regionali (con il criterio

della residenza) e il vincolo di permanenza nella provincia di prima nomina. Lo propongono Lega e Forza Italia, ma la sinistra risfodera gli slogan del '68: «No all'istruzione di classe». Tradotto: la scuola resta cosa loro.

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