"Chi dà voce al nemico non va considerato come suo complice"

"Motivi politici dietro l'indignazione. Ma io intervisterei pure Messina Denaro"

"Chi dà voce al nemico non va considerato come suo complice"

Michele Santoro, secondo lei era giusto fare l'intervista al ministro degli Esteri Lavrov?

«Assolutamente sì. Era uno scoop. Qualunque giornalista l'avrebbe voluta fare. Io per primo. Se avessi la possibilità di intervistare Matteo Messina Denaro non mi tirerei certo indietro».

Il giornalista, maestro dei talk, che stava a Belgrado quando la Nato attaccava la Serbia, non si scandalizza per l'intervista rilasciata dal numero due di Putin a Giuseppe Brindisi su Rete4. Negli stessi minuti, domenica sera, invocava una via per la pace all'Arena di Giletti su La7 e il giorno dopo, lunedì, ha organizzato la manifestazione contro «l'informazione omologata» e per dare voce a chi «è contrario a inviare armi all'Ucraina». Due posizioni totalmente diverse, la sua e quella di Brindisi, ma che hanno creato un infuocato dibattito sulla libertà di stampa.

Il conduttore di «Zona Bianca» è stato subissato di improperi, critiche, accuse a livello internazionale.

«Come c'è libertà di espressione ci deve essere anche libertà di critica. Si può dire che ha fatto male l'intervista. Ma dietro l'indignazione ci sono motivazioni politiche, c'è il bellicismo delle parole che nasconde la sostanziale impotenza dei nostri politici: l'Italia è una ruota del carro, le armi vere le stanno inviando gli americani».

Ma secondo lei l'intervista è stata realizzata in modo corretto?

«Non l'ho vista perché negli stessi momenti ero in studio da Giletti. E, abbiamo fatto più share di Lavrov... Però, in base a quello che ho letto, dico che avrei fatto altre domande».

Cioè?

«Hanno fatto tanto scandalo le affermazioni sulle origini ebraiche di Hitler e di Zelensky, io non mi sarei soffermato sulla questione degli elementi nazisti tra gli ucraini, piuttosto avrei cercato di fare dire a Lavrov le condizioni per porre fine a questa guerra, per il compromesso».

C'è chi ha ipotizzato che il ministro abbia concesso l'intervista a Mediaset per via della vecchia amicizia di Berlusconi con Putin.

«Anche se fosse non ci troverei niente di scandaloso, un giornalista deve usare ogni mezzo a sua disposizione per arrivare all'obiettivo. Piuttosto, al solito, chi intervista un nemico viene considerato complice del nemico per zittirlo perché la stampa italiana è schierata con le posizioni interventiste».

Con le dovute differenze, anche lei viene messo nella casella «pro-Putin», ma sta facendo il giro dei talk più importanti.

«È il modo per emarginare in maniera silenziosa. Io ho fatto grandi battaglie contro Berlusconi ma era una lotta chiara. Ora i giornali e i telegiornali, anche se invitano o fanno parlare personaggi come me o Orsini, danno un'informazione unica, omologata, il medium è il messaggio».

Per questo ha organizzato la manifestazione «Pace proibita».

«Certo, per dare voce a chi non è rappresentato nei media e in politica. Non è stata una trasmissione ma un esperimento, un segnale che tutti possono raccogliere, un terremoto per l'informazione, libero a tutti. E mi sembra abbia avuto successo: stimiamo che tra tv locali (come TeleNorba) e web abbiamo raccolto 400.000 persone. E andremo avanti».

Si è portato dietro i vecchi compagni dei suoi talk show come Vauro.

«Pochissimi. C'era una vasta rappresentazione di diversi mondi, dagli amici di Greta ai filosofi come Donatella Di Cesare».

Ma non c'era il suo amico/nemico Marco Travaglio.

«L'abbiamo invitato, ha ritenuto di non venire. Tra noi ci sono differenze di opinioni, ma auspico che possiamo fare fronte comune in questa battaglia».

L'accusano di chiedere la pace, ma senza dire come farla.

«Come no?

Noi siamo dalla parte del Papa, vogliamo che l'Italia spezzi le catene che ci legano alla strategia americana e si metta in prima linea nell'attività diplomatica. Bisogna mettersi al tavolo con Putin come ha detto Macron».

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