Diciamoci la verità: tra le tante nefandezze che la politica italiana riesce a partorire quella dei cambi di casacca è una delle più stomachevoli. Perché non è accettabile in una democrazia seria che un candidato di un partito votato dal popolo proprio perché appartenente a quella fazione politica, ad un certo punto decida di passare dall'altra parte, perlopiù rimanendo seduto in Parlamento.
In altri termini, con i voti presi grazie alla sua appartenenza ad una squadra, resta in campo giocando per l'altra. Semplicemente ripugnante. Eppure, questo malcostume, di cui l'Italia è modello, attraversa da sempre ogni governo, anche se l'apice lo ha avuto nei governi del Pd e adesso in quello giallorosso.
Come scrive l'agenzia Italpress, Openpolis, l'osservatorio che periodicamente aggiorna le vergognose tabelle, segnala un totale di 147 cambi di casacca da inizio legislatura, 57 dei quali avvenuti nel corso del 2020. Non c'è pandemia che tenga, per cambiare bandiera i nostri politici sono sempre pronti. A patto che venga mantenuto il posto e lo stipendio, ovviamente.
I passaggi di gruppo, di per sé, rappresentano una prassi consolidata nel tempo e legittimata dall'articolo 67 della Costituzione che non assegna agli eletti alcun vincolo di mandato. Ma i flussi numerici e temporali costituiscono un termometro politico per valutare lo stato di salute delle coalizioni e dei partiti che le compongono. I cambi di casacca assumono particolare rilevanza soprattutto in un periodo come questo, ovvero durante una crisi politica della maggioranza, in quanto più sono i voltagabbana, più ci sono probabilità che questi esprimano voti diversi da quelli dei loro partiti. Finché ci sono le banderuole della politica la partita per il governo in carica è sempre aperta.
Openpolis segnala anche la media dei dati da inizio legislatura: durante il Conte I (1° giugno 2018 - 5 settembre 2019) i cambi di casacca sono stati 1,61 al mese, per aumentare vistosamente con l'avvio del Conte II (7,3) in coincidenza con la nascita di Italia viva e attestarsi a 4,5 al mese nel corso del 2020.
Nulla a che vedere, comunque, con il quinquennio 2013-2018 (governi Letta, Renzi, Gentiloni) che ha toccato punte da record: 569 passaggi di gruppo, anche multipli, compiuti da 348 parlamentari, per una media di 9,5 al mese. In questa legislatura, invece, risulta che i protagonisti dei 147 cambi sono stati 136 parlamentari e, nel solo 2020, 52 su 57. Nello specifico si tratta di 18 senatori e 39 deputati. Gli ultimi, in ordine di tempo, sono quattro deputati del M5s che hanno aderito al gruppo misto, e un senatore della Lega che è passato al Misto, per poi approdare a Fratelli d'Italia. Il tributo più alto, nel corso dell'anno, lo ha pagato il M5s con l'abbandono di 33 parlamentari, tra addii volontari ed espulsioni. Segue Forza Italia che ha perso 14 eletti tra le sue file. A beneficiare di queste fughe è stato soprattutto il gruppo Misto di Camera e Senato che ha guadagnato un totale di 35 membri. A Palazzo Madama, la dinamica del via vai ha portato al progressivo restringimento numerico della maggioranza a 159 voti effettivi, che da mercoledì si sono ulteriormente ridotti con la fuoriuscita dei 18 senatori renziani.
Numeri che andranno necessariamente rimpiazzati in pianta stabile per l'eventuale prosecuzione della legislatura, posto che Italia viva, uscita per ora dal governo, sarebbe disposta a votare solo lo scostamento di bilancio mercoledì prossimo (per il quale serve la maggioranza assoluta di 161 voti).
Gli occhi sono puntati sul gruppo Misto e delle Autonomie, all'interno dei quali si possono agglomerare nuove formazioni. Il grande esercito dei camaleonti della politica è pronto, anche a questo giro, a dare il peggio di sé.
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