In Cina torna la gogna. Chiuso a Hong Kong l'ultimo giornale libero

Arrestati sette reporter e la pop star locale Denise Ho, che era nel cda di "Stand News"

In Cina torna la gogna. Chiuso a Hong Kong l'ultimo giornale libero

Li stanno chiudendo tutti, uno a uno. Ogni voce, ogni parola, ogni pezzo di realtà che non corrisponde alla versione ufficiale, quella del governo, del partito, di Pechino. A Hong Kong la stampa libera è un cimitero. Il racconto divergente è fuorilegge e chi non abbassa il capo finisce in prigione.

Nella redazione di Stand News non si facevano illusioni. Tutti sapevano che adesso sarebbe toccato a loro. Il destino era già chiaro a giugno, quando hanno sequestrato persone e beni dell'Apple Daily, il tabloid fondato nel 1995 dall'imprenditore Jimmy Lai, tutt'ora imprigionato. Era il più venduto nell'ex colonia britannica e sosteneva la democrazia. Stand News non era di carta, ma continuava a scrivere quello che qui è una bestemmia. Non c'è spazio a Hong Kong per la common law. Non appartiene alla visione del mondo cinese. È l'anomalia degli altri. È il tradimento della dottrina che ormai mischia comunismo, capitalismo di Stato e confucianesimo in una minestra dove l'ingrediente di base resta il totalitarismo.

È così che in un giorno di fine dicembre duecento poliziotti armati e nervosi hanno fatto irruzione nella redazione di Stand News e hanno arrestato il redattore e il caporedattore. Altri cinque sono andati a prenderli a casa. È stata catturata anche Denis Ho, la cantante che non ha mai nascosto la sua simpatia per il movimento Umbrella e che fino a novembre faceva parte del consiglio di amministrazione del portale d'informazione. L'accusa per tutti è di «sedizione». Stand News, dopo sette anni di vita, ha smesso di esistere. L'amministrazione di Hong Kong ha fatto sapere che tutte le «mele marce» verranno mandate al macero: «Chiunque tenti di usare i media come uno strumento per perseguire scopi politici o altri interessi contravvenendo alla legge, in particolare reati che mettono a repentaglio la sicurezza nazionale, sono elementi cattivi che danneggiano la libertà di stampa».

La stretta di Pechino riguarda anche chi, in patria e fuori, insiste nel rivendicare l'indipendenza di Taiwan. Il destino dell'isola «ribelle» è secondo il partito ormai segnato. Bisogna solo vedere come e quando, convinti gli Stati Uniti non avranno mai il coraggio di aprire una guerra globale per difendere la repubblica. Chi appoggia Taiwan è un traditore e uno spacciatore di falsi ideologici.

L'ultima battaglia di Stand News è stata la denuncia contro il sistema di «prigioni intelligenti». Le sentinelle sono robot, le telecamere non ti lasciano mai solo e ai polsi e alle caviglie ci sono braccialetti elettronici. È la versione cinese del Panopticon di Jeremy Bentham e come al solito la Cina sceglie con cura le utopia occidentali da interpretare. Lo fanno, purtroppo, anche in Corea del Sud, quella di Squid Game, il gioco del calamaro, quella non comunista. Non è fantascienza.

La Cina non si accontenta dei robot secondini e si muove avanti e indietro sulla linea del tempo. Le punizioni esemplari non sono mai passate di moda. La pandemia è l'occasione per rispolverare la gogna. Quattro persone vestite di bianco, incappucciate, ma con un grande cartello che penzola dal collo con foto e nome, sfilano con telecamere accese per le strade di Jingxi, nella regione di Guangxi, al confine con il Vietnam. Li hanno condannati per aver fatto entrare illegalmente alcune famiglie: traffico di uomini. La Cina è blindata. Il virus ha reso ancora di più l'immenso impero una prigione. Chi non rispetta le norme anti Covid va svergognato. Si è aperto un lungo dibattito sui social. Molti i favorevoli, soprattutto nelle zone più periferiche.

Il Beijing News, quotidiano della capitale, ha invece rimarcato il ritorno a pratiche dimenticate. Il riferimento non è medievale, ma alla rivoluzione culturale di Mao. È che la Cina, quando ha paura, come tutti, torna a chiudersi ancora di più. È il demone di questa lunga stagione.

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