Coda amara per l'Expo Dall'America alla Russia chi non paga le imprese

Gli Usa sono in arretrato di 20 milioni, Mosca ha debiti con nove aziende. E c'è anche chi ha speculato sul Nepal

Coda amara per l'Expo Dall'America alla Russia  chi non paga le imprese

C'è chi aspetta di essere pagato da giugno. E c'è chi sulla scrivania ha un plico di fatture inevase che rischia di rimanere lì fino a dopo Natale. A due settimane dalla chiusura di Expo, sono parecchi gli imprenditori, soprattutto del nord Italia, che devono ancora essere liquidati e che sono rimasti intrappolati nel sistema di sub appalti e appaltini. Sì, è vero, Expo ha portato lavoro alle imprese. Peccato che non sempre siano arrivati anche i compensi. È il caso delle due super potenze Usa e Russia che, a quanto pare, temporeggiano. E mentre smontano i due padiglioni lungo il Decumano, rimandano le date di pagamento dei fornitori. Ad aprile hanno promesso mari e monti agli imprenditori edili, pur di arrivare pronti all'inaugurazione del primo maggio. Ora invece se la prendono comoda. E fanno gestire la questione dalle ambasciate. Clamoroso il caso del padiglione Russia, che deve oltre un milione di euro a nove aziende, tre delle quali nella provincia di Treviso. Nei guai per il maxi ammanco sono la Sech Costruzioni di Refrontolo, l'Idealiste di Susegana, la Mia Infissi di Miane e con loro la marchigiana Catena Services, Coiver Contract, GesCoMont, Elios Ambiente, Vivai Mandelli, Sforazzini. Ovviamente i titolari, finché non intascano i compensi, non riescono a pagare a loro volta né tecnici né operai e l'arretrato si sta facendo consistente.A rompere gli indugi è stata l'azienda marchigiana: il suo titolare si è presentato al padiglione con l'ufficiale giudiziario e ha preteso il sequestro di alcuni beni. Ed ecco che, proprio in fase di smantellamento del padiglione, ai russi è arrivata l'istanza di pignoramento. La Russia ha cercato di aggrapparsi a qualche scusa per non aprire il portafoglio: ha contestato il modo in cui erano stati effettuati gli impianti elettrici e anti incendio, ha sollevato critiche sulla struttura portante. Ma una perizia depositata al tribunale di Milano certifica che «le opere eseguite sono state realizzate a regola d'arte». Quindi non ci sono più alibi e i lavori vanno pagati.E poi c'è il caso del padiglione Usa. Pare che tra i fornitori e gli «Amici del padiglione Usa», la società no profit che ha gestito lo spazio, la situazione sia ancora tesa. Dopo la chiusura di Expo sul piatto sono rimasti arretrati per quasi 20 milioni. Gli imprenditori italiani lamentano la strategia a stelle e strisce: aver privilegiato il pagamento dei fornitori che hanno tenuto aperto il padiglione a discapito di quelli che hanno concluso i lavori per primi.Amara anche la storia del padiglione del Nepal. Alla fine di aprile, quando il Paese fu colpito dal terremoto, molti operai nepalesi al lavoro a Expo furono costretti a tornare a casa, rischiando di lasciare a metà l'opera. Scattò una gara di solidarietà per aiutare le autorità nepalesi a completare il padiglione. Ma, accanto a tanti volontari, intervennero anche parecchi operai specializzati bresciani. Che aspettano ancora il proprio compenso. Dietro al padiglione non c'è la repubblica asiatica ma c'è un imprenditore che in passato ha investito nel costruzione di templi e che di sicuro ad Expo non ci ha rimesso soldi. Ormai risolto il caso di Palazzo Italia.

Dopo un lungo braccio di ferro, hanno fatto dietrofront le società che avevano vinto l'appalto per la gestione degli eventi del padiglione italiano e oggi sarà firmato l'accordo: pagheranno i salari arretrati di giugno a 90 dipendenti dopo che Expo spa si era detta pronta ad accollarsi l'onere. Hostess e steward erano rimasti vittima di un intricato passaggio di responsabilità tra le diverse società che si sono alternate nella gestione degli spazi espositivi italiani.

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