Pessimisti o senza paura. La guerra degli scienziati divisi dall'epidemia. E il ministro zittisce il vice

Comunità medica spaccata dopo il documento dei 10 esperti secondo cui l'emergenza è finita. Speranza contro Sileri: "Virus in circolo, la battaglia non è ancora vinta"

Il ministro della Salute, Roberto Speranza
Il ministro della Salute, Roberto Speranza

Ci hanno insegnato che la scienza non è un opinione. Altrimenti non sarebbe scienza. Eppure anche questo principio è stato scardinato dalla pandemia. Il fronte degli scienziati non è uno solo, ci sono più correnti di pensiero, opinioni che si rincorrono e si contraddicono l'un l'altra. Risultato: la confusione è totale. In noi e nei politici chiamati a decidere le misure anti contagio. Non a caso, non più di una settimana fa il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri se ne era uscito sicuro: «Non ci sarà nessuna ripresa del virus in autunno». Ieri il ministro della Salute Roberto Speranza ha detto esattamente l'opposto: «Il virus circola, la battaglia non è affatto finita». Delle due l'una.

E così anche tra virologi, infettivologi ed epidemiologi. Dal un lato gli «ottimisti»: quelli secondo cui il virus è ormai così indebolito da non rappresentare più un pericolo anche nel momento in cui un soggetto risulta positivo ai test. Dall'altro quelli che si preparano all'autunno e alla ripresa di tutto quel che già sappiamo. E allora le dichiarazioni di Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri («il 20 febbraio è ormai lontano, basta paura») cozzano con quelle del virologo Andrea Crisanti, direttore della Microbiologia e virologia dell'università di Padova («il nostro autunno sarà come nei mattatoi tedeschi»). Le dichiarazioni di Massimo Clementi, direttore del laboratorio di Microbiologia al San Raffaele di Milano («evidenze cliniche non equivoche da tempo segnalano una marcata riduzione dei casi di Covid-19 con sintomatologia») fanno a pugni con la posizione del direttore di Malattie infettive dell'ospedale Sacco, Massimo Galli («Il virus non si è per niente rabbonito»).

Così all'infinito, come se gli scienziati fossero gli ospiti di un'arena televisiva. Il tutti-contro-tutti non fa bene a nessuno: nè alla comunità - che non sa più se è giusto o sbagliato indossare la mascherina o salire su un aereo - e alla scienza stessa - che in questi mesi è stata fondamentale per la politica ma rischia di incappare in un enorme autogol se non mette ordine fra i suoi giocatori. In ballo non c'è solo la credibilità degli scienziati stessi ma la capacità di arrivare preparati o inermi di fronte a una ripresa del virus. Se ci sarà. Perché un conto è sbagliare all'inizio, quando lo tsunami dell'epidemia arriva tutto in una volta, ma un altro conto è ripetere l'errore quando del virus si comincia a ricostruire la carta d'identità. Il nodo forse sta proprio qui: del Covid-19 non si sa ancora abbastanza. E più che gruppi di scienziati si stanno scontrando osservazioni empiriche, rilevate in corsia ma non (ancora) dimostrate in laboratorio, con informazioni ricavate e comprovate da vetrini e statistiche. Noi siamo in balia degli annunci. Ma è chiaro che qualcosa non funzioni. Sembra che di colpo il virus sia pseudo-innocuo, quando invece, fino a poche settimane prima, ha fatto una strage senza pari.

Stessa confusione sulla ricerca di una cura. Le società e le case farmaceutiche, con regolarità, annunciano i passi avanti sulla sperimentazione di un vaccino: il giorno dopo il loro titolo vola in Borsa e il giorno dopo ancora la sperimentazione ha magicamente una battuta d'arresto. Anche le riviste scientifiche ci mettono del loro nella baraonda Covid: pubblicano studi che dopo poco vengono ritirati o smentiti. Clamoroso il caso dell'idrossiclorochina, osannata come soluzione anti virus da uno studio francese e poi ritirata dal mercato.

Come se non bastasse, arriva l'intervento di Walter Ricciardi, l'uomo dalle mille cariche.

In questo caso parla come direttore dell'Osservatorio nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane e, presentando il rapporto Osservasalute 2019, sostiene che la crisi del Covid abbia improvvisamente «messo a nudo fino in fondo la debolezza del nostro sistema sanitario e la poca lungimiranza della politica. Il Servizio sanitario nazionale è arrivato a questo tsunami del Coronavirus assolutamente impreparato, debole dal punto di vista strutturale». Ma lui di politica sanitaria si occupa almeno da dieci anni.

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