La condanna dell'ex pm dice che il vento è cambiato

Il verdetto sul protagonista di una stagione è anche un segnale: la magistratura sta tornando nei ranghi

La condanna dell'ex pm dice che il vento è cambiato
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Qualcosa è cambiato. Ricordo - erano i tempi di Mani pulite - la trepidazione con cui si entrava nella stanza dell'allora potentissimo procuratore di Milano Francesco Saverio Borrelli. Mettere in dubbio la sacralità della magistratura e di quei magistrati pareva una bestemmia, impronunciabile nel sancta sanctorum della legge e di Mani pulite.

Qualcosa è cambiato e la condanna di Piercamillo Davigo, per quanto sia solo una sentenza di primo grado, è la spia che la magistratura sta forse rientrando nei ranghi. Non si tratta di sottomissione al potere politico, ci mancherebbe e sarebbe pericoloso per la democrazia, ma della fine, forse, dell'anomalia tutta italiana dei pm custodi della legge e della moralità, intoccabili per definizione, depositari dei sacri valori della comunità e baluardo contro l'arroganza dei partiti. Quella narrazione è finita da un pezzo fra le macerie dell'ideologia giudiziaria: il caso Palamara, le dimissioni a raffica dei consiglieri del Csm, sorpresi a parlare di questa o quella nomina, di questa o quella poltrona, e poi la scoperta che la procura di Milano era divisa e stavano su fronti opposti due toghe che avevano fatto la storia della rivoluzione giudiziaria: Francesco Greco, seduto sulla poltrona che era stata di Borrelli trent'anni prima, contro Davigo, transitato al Csm, infine, recalcitrante, alla pensione e a una singolarissima interpretazione del segreto d'ufficio.

Dieci anni fa sarebbe stata possibile una condanna del genere? La domanda sarà pure poco ortodossa e formalmente inaccettabile, ma è questo il quesito che molti si sono posti. Naturalmente - va ripetuto per correttezza - il verdetto potrebbe pure cadere nei gradi successivi. E però resta l'impressione che si sia arrivati a un tornante decisivo nel Paese in cui il potere d'interdizione del partito dei giudici era impressionante. E si leggono sempre meno certe stupefacenti sentenze della Disciplinare del Csm, capace in passato di far uscire indenni da storie imbarazzanti, per non dire vergognose, giudici che avrebbero meritato ben altra sorte.

La Bicamerale guidata da Massimo D'Alema fu fermata nel percorso delle riforme dalla forza d'urto dell'Anm: la presidente Elena Paciotti, poi eletta per i DS al Parlamento europeo, si mise di traverso e il capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro fece scendere il sipario con una dichiarazione abrasiva: «Condivido le sue parole una a una». Game over.

Oggi l'Anm contesta e replica e insomma fa il suo mestiere di guastafeste, ma la sua capacità di mobilitazione non solo della categoria ma di pezzi interi dell'opinione pubblica, si è molto affievolita. Giuseppe Santalucia, il numero uno del sindacato delle toghe, concede interviste che vanno benissimo ai giornali dell'opposizione, ma queste discese in campo non hanno lo stesso impatto che avevano quelle dei suoi predecessori negli anni in cui la magistratura associata aveva il tocco d'oro.

Intendiamoci, non va sottovalutato il peso specifico del giacobinismo, un'ideologia che ormai alberga stabilmente nel nostro disastrato Paese, ed è partita, come ha scritto ieri il Foglio, l'operazione per abbattere il guardasigilli Nordio. Il tutto con il corredo di alcuni titoloni abbaglianti sfornati da alcuni grandi quotidiani che da sempre condividono la stessa metrica dei leader dell'Anm. Può essere che anche questa volta si vada in quella direzione, ma i troppi errori, i troppi scandali, le troppe inchieste partite fra squilli di tromba e finite nel nulla, hanno fatto riflettere chi prima sposava acriticamente la guerra di liberazione da una presunta corruzione universale.

Qualcosa è cambiato e sono saltati certi meccanismi che prima assicuravano la sopravvivenza di un sistema codificato: basti pensare che per la prima volta il vicepresidente del Csm, Fabio Pinelli, non arriva dal perimetro del centrosinistra ma è un avvocato penalista espressione della Lega. Insomma, la condanna di Davigo ha un significato simbolico e potrebbe segnare l'avvio di una nuova stagione. Dove certe bandiere sventoleranno sempre di meno.

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