Emanuele Orsini (foto a destra) è il candidato in vantaggio nella corsa alla presidenza di Confindustria. Secondo una ricerca dell'istituto Swg, consultata dal Giornale ed effettuata su 400 imprese iscritte alla confederazione, l'ad di Sistem Costruzioni e presidente di Tino Prosciutti è preferito al concorrente Edoardo Garrone (foto a sinistra), presidente di Erg e del Sole 24 Ore, dal 58% degli intervistati che hanno espresso un'indicazione. Nonostante il vantaggio sia amplissimo, Orsini non potrà certo sedersi sugli allori in questi pochi giorni che mancano al Consiglio generale del 4 aprile perché circa la metà del campione (48%) non ha espresso una preferenza.
La netta prevalenza di Orsini, tuttavia, è giustificata dalle priorità individuate dagli associati. In primo luogo, secondo i risultati della ricerca, il 51% delle imprese ritiene che il nuovo presidente di Confindustria dovrebbe essere un rappresentante di una piccola o media impresa, in particolare tra le imprese del Nord-Est e del Centro Italia. In seconda istanza, le evidenze statistiche suggeriscono che le aziende si aspettano che la Confindustria del post-Bonomi collabori con le istituzioni e con il governo nella definizione delle strategie industriali e nella tutela degli interessi delle pmi (45% per entrambe le risposte). Inoltre, è considerato importante anche il ruolo di Viale dell'Astronomia (40%) nel promuovere una tassazione equa e incentivi statali per le imprese. Insomma, che cosa vogliono le aziende dal nuovo presidente? Soprattutto che Confindustria torni a essere un interlocutore di primo piano per l'esecutivo e che non si faccia scavalcare sia in Italia che in Europa nella definizione delle politiche industriali e, in particolare, delle strategie fiscali.
Gli intervistati hanno le idee molto chiare anche sulle priorità che dovranno costituire il fulcro dell'azione politica del prossimo presidente per sostenere la crescita industriale. Confindustria dovrebbe, innanzitutto, concentrarsi sulla semplificazione della burocrazia per il 48% del campione. In seconda posizione a pari merito con il 39% ciascuno figurano la riduzione della pressione fiscale da sostanziarsi nel taglio del cuneo (quello attuale incide solo sugli oneri previdenziali dei lavoratori) e la promozione dell'innovazione tecnologica e digitale. Al terzo posto con il 34% la modernizzazione delle infrastrutture.
Il sondaggio evidenzia anche una netta percezione di come questa elezione rappresenti un'occasione quasi storica per l'associazione. Se da una parte gli intervistati hanno fiducia in Confindustria (58% del totale con una punta del 65% nel Nord-Est), dall'altro le valutazioni sulla sua efficacia non sono troppo lusinghiere. Chiamati a valutare da zero a 10 le risposte su alcuni temi fondanti della vita associativa, si riscontra la sufficienza solo per «attenzione alle necessità delle imprese» (6,2) e «capacità di incidere sul piano politico» (6). Insufficienti sono state giudicate le strategie su «innovazione» (5,9), «capacità comunicativa» (5,7), «affidabilità» (5,7), «trasparenza» (5,3), «equità tra grandi imprese e pmi» (5,1) e «indipendenza dalla politica» (4,7). Dunque, a Confindustria si chiede di non andare «al traino» del governo di turno e di ascoltare le piccole e medie imprese senza sbilanciarsi sui colossi.
Il discorso di Orsini al consiglio generale dello scorso 21 marzo sembra proprio partire da questi presupposti sintetizzati nello slogan «dialogo, identità e unità». Proprio sulla questione energetica («Dobbiamo puntare con forza energie costanti e consentire alle nostre imprese di essere più competitive»), affrontata senza nessun tipo di tabù, e sulla necessità di investimenti orientati all'infrastrutturazione e alla digitalizzazione del Paese il candidato sa che si dovrà giocare una sfida importante. E da questa partita nessuno può essere escluso: Orsini intende valorizzare sia la componente femminile che quella giovanile di Confindustria per far sì che il suo potere di rappresentanza possa definirsi tale.
Poi, è chiaro che ogni elezione dipende da infinite variabili, tuttavia si può affermare che raramente negli ultimi due decenni si è assistito a una sostanziale condivisione programmatica tra la base e un suo candidato.
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