Conte si ritrova col cerino in mano. E ordina ai suoi il silenzio stampa

Il leader in tilt, strattonato da pontieri e falchi, non ha ancora deciso il da farsi. Attende invano un contatto da Draghi e studia il compromesso: un po' di senatori voteranno sì e gli altri no

Conte si ritrova col cerino in mano. E ordina ai suoi il silenzio stampa

Basterà la frase del premier Mario Draghi sui «molti punti di convergenza» tra l'agenda del governo e la lettera in nove punti consegnata da Giuseppe Conte a Palazzo Chigi per impedire lo strappo dei grillini? Sarà sufficiente la promessa di un nuovo decreto aiuti sui salari da varare entro fine luglio per placare la bolgia degli stellati che fremono per uscire dal governo? A queste domande ancora non sa rispondere nemmeno lo stesso Conte. Che in mattinata ieri rilanciava ancora sui «segnali» che attende dal presidente del Consiglio per sciogliere la riserva sulla fiducia di domani al Senato. L'ex premier trascorre una giornata al telefono, strattonato dai pontieri del Pd da un lato, dai bollenti spiriti dei senatori e di alcuni tra i più stretti consiglieri dall'altro. Quando esce dalla sua casa nel centro di Roma per andare a fare la spesa, viene placcato dai cronisti. «Contiamo come M5s di ricevere delle pronte risposte», dice il leader stellato a Fanpage.it davanti al supermercato.

Conte è in contatto costante con i vertici del M5s, una war room che ormai si riunisce su Zoom senza soluzione di continuità. Segue l'incontro di Draghi con i sindacati, guarda la conferenza stampa del premier. L'ex premier spera in un contatto diretto con l'ex governatore della Bce prima della resa dei conti a Palazzo Madama. Si parla di telefonate, faccia a faccia. Eppure per tutta la giornata non ci sono conferme ufficiali. Le parole di Draghi su un governo che non lavora con gli ultimatum fanno ribollire la rabbia degli oltranzisti. La sensazione è che Conte sia con il cerino in mano. L'avvocato sente addosso tutta la responsabilità di un eventuale precipitare della situazione politica. Proprio ciò che voleva evitare, coltivando la speranza di differenziarsi dal governo ma senza rompere. Anche per questo, con il passare delle ore, crescono le voci sull'ennesima drammatizzazione comunicativa della crisi. Tra i critici di Conte c'è chi se la prende con «le Casalinate». Circola la previsione di un M5s che vota la fiducia all'ultimo miglio, anche se in serata filtra come probabile lo scenario dell'astensione.

Il vicepresidente Riccardo Ricciardi, uno dei sostenitori del Draghicidio, abbozza sulla decisione in vista del voto di domani. «In questo mondo 48 ore sono un'eternità, rispondere ora per giovedì è abbastanza prematuro», prende tempo. Ma di tempo ce n'è poco. I senatori oltranzisti pressano per arrivare a quello che chiamano «il beau geste». Ovvero l'uscita dal governo, con tutte le conseguenze del caso. L'ordine di scuderia arriva nel pomeriggio. Silenzio stampa fino al Consiglio nazionale di stamattina. «È qui che Conte illustrerà la sua posizione in merito alle misure anticipate nel corso dell'incontro di questa mattina del governo con le parti sociali», recita la nota del M5s. Una formulazione che fa sperare i più ottimisti nell'accoglimento delle aperture di Draghi sul salario minimo. «La posizione del M5s non verrà anticipata prima di domani, pertanto qualsiasi dichiarazione espressa dai singoli membri del M5s è da intendersi come espressione di una posizione personale», così la strigliata dello staff. Oggi dovrebbero riunirsi anche i senatori in assemblea.

Conte quasi sicuramente domani perderà dei pezzi. La posizione di una decina di senatori che non voteranno la fiducia al netto di qualunque decisione è già filtrata.

Mentre sorprendono i movimenti di altri sette o otto eletti a Palazzo Madama che invece appoggerebbero il governo anche se l'indicazione fosse quella di uscire dall'Aula. Perciò circola l'ipotesi di uno sdoppiamento pilotato dai vertici, con metà senatori che direbbe sì e l'altra metà che uscirebbe dall'Aula. L'obiettivo? Evitare altri addii da entrambe le parti.

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