Conti in rosso, c'è il rischio stagnazione

L'obiettivo deficit/Pil al 3% è a rischio. E senza ripresa non ci sarà flessibilità da parte dell'Europa sulle riforme

Conti in rosso, c'è il rischio stagnazione

Roma - L'emozione per gli attentati di Parigi sta monopolizzando l'attenzione dei media, ma fronteggiare il terrorismo non significa abbassare la guardia in ambito economico.

Il rapporto deficit/Pil alla fine dello scorso settembre si è, infatti, assestato al 3,7%, in aumento di 0,3 punti percentuali rispetto all'analogo periodo del 2013. È un dato parziale, lo ha ricordato anche il ministro dell'Economia Padoan, perché non tiene conto di ciò che è accaduto negli ultimi tre mesi del 2014. Il Tax Day del 16 dicembre, secondo stime abbastanza realistiche, dovrebbe aver portato nelle casse dello Stato tra Imu, Tasi e Tari (cui si aggiungono Iva e altri balzelli applicati alle imprese) oltre 44 miliardi di euro. L'obiettivo del 3% di deficit/Pil a fine anno, pertanto, dovrebbe essere stato centrato.

La cura-Renzi finora non ha dato i frutti sperati. La pressione fiscale (i dati però sono parziali) è rimasta sostanzialmente invariata e i consumi ristagnano anche se la flessione dei prezzi del petrolio e, parzialmente, il bonus da 80 euro ha aumentato il reddito disponibile. Senza un intervento incisivo si rischia un proseguimento della stagnazione.

Il quadro potrebbe peggiorare. Ieri la Consulta dei Caf e Unimpresa hanno denunciato il rischio che nel 2015, con le nuove regole, cali del 20% il numero di persone che richiede l'accesso ai servizi agevolati Isee (sconti su mense e tasse universitarie, asili nido, assistenza domiciliare, ecc.). Nel 2014 sono stati circa sei milioni, quindi quest'anno potrebbero essere oltre 1,2 milioni in meno. Con un'incidenza negativa sui consumi in quanto maggiori risorse saranno drenate per far fronte a servizi essenziali. Le nuove norme, infatti, prevedono controlli fiscali più stringenti e una maggiore valorizzazione della casa di proprietà.

Cosa aspettarsi, dunque? L'argomento va affrontato da due diversi punti di vista. Il primo è quello dei negoziati in corso tra il nostro presidente del Consiglio e la Commissione europea. Renzi sta chiedendo al presidente dell'esecutivo Ue Juncker di accettare una «flessibilizzazione» dei Trattati. Come noto, gli stati con deficit in eccesso dovrebbero ogni anno effettuare una correzione aggiuntiva dello 0,5% del Pil per avvicinarsi al pareggio di bilancio. All'Italia è già stato concesso uno sconto: ogni anno deve trovare lo 0,25-0,3% per far vedere che si sta mettendo in regola. Ora, Renzi vorrebbe azzerare questo obbligo in cambio di un serio impegno sulle riforme.

Non solo, il nostro premier chiede anche maggiore spazio di manovra sugli investimenti chiedendo che questi siano scomputati dal calcolo del deficit. È difficile che l'Italia possa ottenere qualcosa se non dimostrerà di rispettare almeno il parametro del 3% di deficit/Pil. Con che faccia Renzi può chiedere qualcosa a Juncker e alla sua dante causa Merkel quando l'Ue pensa addirittura di obbligare i Paesi poco virtuosi alla disciplina di bilancio?

Non meno complicata appare anche la gestione del fronte interno. Il principale problema è il Jobs Act: i due decreti legislativi varati il 24 dicembre non sono ancora arrivati in parlamento.

In particolare, quello contenente la riforma degli ammortizzatori sociali con l'introduzione della nuova Aspi è bloccato dalla Ragioneria generale dello Stato per problemi di copertura. È un po' difficile, infatti, estendere l'indennità di disoccupazione anche ai lavoratori con contratti temporanei. Sarà impossibile se i conti pubblici continuano a peggiorare.

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