«Serve una riflessione e la faremo nella prossima legge di Bilancio». Così il premier Mario Draghi venerdì scorso ha rinviato al Consiglio dei ministri sulla manovra che si svolgerà la prossima settimana (entro mercoledì il Documento programmatico di Bilancio va inviato a Bruxelles), salvo tensioni politiche che inducano l'ex presidente della Bce a guadagnare ancora un po' di tempo. Il pressing di Lega e Forza Italia, tuttavia, non accenna a diminuire. Ieri il capogruppo del Carroccio al Senato, Massimiliano Romeo, ha ribadito che «il malumore di Giorgetti (il ministro che ha squadernato la questione sul tavolo; ndr) è il malumore di tutta la Lega», mentre Maurizio Gasparri (Fi) ha sottolineato che «così com'è non può essere votato» alludendo al rifinanziamento della misura per 200 milioni prevista dal decreto fiscale.
Ma come potranno cambiare il sussidio grillino il presidente del Consiglio e il ministro dell'Economia, Daniele Franco? Finora ci sono molte ipotesi sul tavolo, ma le «riflessioni» draghiane hanno un ampio spettro. La possibilità più concreta è la separazione del sussidio anti-povertà dall'incentivo al ricollocamento dei lavoratori. In buona sostanza, si riesumerebbe il vecchio Rei (reddito di inclusione) del governo Gentiloni. D'altronde, i due terzi del reddito di cittadinanza, che comporta una spesa di circa 750 milioni di euro mensili (circa 9 miliardi l'anno), è destinato proprio alle fasce più indigenti della società. Dunque, i poveri sarebbero salvaguardati. A essere ripensato sarebbe il terzo restante che è dedicato alle politiche attive. In primo luogo, dovrebbe essere previsto un décalage, cioè una progressiva diminuzione nel corso della sua vigenza se il percettore non si industria per trovarsi un'occupazione. In secondo luogo, dovrebbe essere rafforzato il collegamento con il mondo del lavoro stesso. Il ministero del Lavoro punta al rafforzamento dei centri per l'impiego anche se da questi passa meno del 5% delle assunzioni. Per il resto, le persone si affidano alle agenzie per il lavoro e ai canali informali. Il ministro dello Sviluppo Giorgetti ha invece ipotizzato la trasformazione in «lavoro di cittadinanza», di fatto rendendo cogente l'occupabilità del lavoratore. Molte aziende si lamentano con il Mise di non riuscire a trovare manodopera non specializzata in quanto il reddito di cittadinanza diventa una sorta di concorrenza rispetto a lavori caratterizzati dal salario basso (vedi articolo in basso).
Questo obiettivo, tuttavia, non si può perseguire senza che entri in campo la riforma degli ammortizzatori sociali che è bloccata tra ministero del Lavoro e ministero dell'Economia che la ritiene troppo costosa. L'assegno di disoccupazione universale potrebbe diventare una sorta di alternativa al reddito per instradare i disoccupati verso una formazione che consenta loro di reinserirsi quanto prima (al programma Gol sono poi destinati 4,4 miliardi del Pnrr). In questo modo si potrebbero escludere dalla platea del reddito coloro che hanno perso l'occupazione e sono sussidiati (mentre oggi, ad esempio, Naspi e reddito rimodulato sono cumulabili).
Ultimo ma non meno importante un rafforzamento del sistema dei controlli che finora ha mostrato parecchie falle visto che quasi quotidianamente emergono nuovi casi di «furbetti» del reddito.
Basti pensare che a luglio hanno ricevuto il sussidio 1,37 milioni di famiglie per oltre 3 milioni di persone coinvolte. La maggior parte delle famiglie che lo riceve è composta da single (il 44% a fronte del 7,7% con almeno cinque componenti). Una sproporzione che legittima i sospetti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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