Il ministro degli Esteri Luigi di Maio ha detto il falso in aula sulla storiaccia dei mille visti in bianco spariti dalla una nostra ambasciata a Islamabad e scoperta dal nostro collega Giuseppe De Lorenzo il 2 luglio di due anni fa. La nota informativa della Farnesina su cui si basa la versione dell'allora ministro sosteneva che il ritrovamento di uno di questi visti irregolari il 9 giugno sarebbe arrivato «grazie a una serie di controlli regolari» successivi a una segnalazione del consolato generale di Dubai e solo poche ore la misteriosa sparizione dei visti. Grazie a una documentazione esclusiva Il Giornale è in grado di dimostrare il contrario.
Dopo alcune interrogazioni parlamentari presentate da Fdi, il 14 luglio Di Maio e 28 ottobre il sottosegretario M5s agli Esteri Manlio Di Stefano avevano assicurato in aula che il furto dei visti era stato accertato «il giorno precedente» alla segnalazione. Non è così, e lo dimostrano alcuni documenti che il Giornale ha potuto consultare. La prima segnalazione di un visto visibilmente contraffatto risalirebbe infatti al sei aprile 2021. Le autorità di frontiera delle Maldive avevano segnalato la presenza di un visto italiano «sospetto» sul passaporto di un cittadino pakistano all'aeroporto di Malè. Si trattava di uno sticker siglato ITA 041913980, rilasciato a Karachi ma con il timbro di Islamabad. L'ufficiale di collegamento Ue, accertata la stranezza e la potenziale irregolarità, la verificava ulteriormente con il responsabile dell'ufficio Visti dell'ambasciata italiana di Colombo (Sri Lanka) competente sull'atollo, un funzionario molto esperto in materia. Dalla conversazione tra l'italiano e il rappresentante Ue (un ufficiale della polizia tedesca) emerge la conferma dei sospetti: la vignetta era stata contraffatta nella compilazione ma era autentica, in carico alle nostre rappresentanze in Pakistan in un blocco di 4mila visti giunti a Islamabad nel luglio del 2020. Il personale diplomatico di Islamabad viene contattato tra il 6 e il 7 aprile - prima via email poi via telefono - dal funzionario di Colombo, che chiede di verificarne l'effettiva sparizione dalla cassaforte, cosa che si manifesta subito in tutta la sua gravità.
È documentato che già il 7 aprile l'ambasciata italiana a Colombo, quella di Islamabad ma anche il capo del Centro visti della Mae, l'Ispettorato generale del Mae e tutta la Farnesina vengono al corrente della sparizione di un intero blocco di mille vignette dalla cassaforte dell'ambasciata italiana in Pakistan. Altro che «controlli regolari». Ai primi di luglio un altro di questi visti «fantasma» viene intercettato dalle autorità di frontiera a Dubai, episodio a cui fanno riferimento l'allora ministro degli Esteri Di Maio e il suo sottosegretario Di Stefano, ed è solo allora che la notizia viene intercettata dal Giornale. Ma in realtà sono passati sessanta giorni dalla prima notizia della sparizione di questi visti: che fine hanno fatto? Perché i rappresentanti grillini al ministro degli Esteri ha riportato una ricostruzione parziale della vicenda in Parlamento? Hanno mentito scientemente? Chi li ha eventualmente male informati? È così che viene gestita la segretezza e la tutela dei visti italiani? Perché non ci sono stati sufficienti controlli? È un caso isolato o è la punta dell'iceberg? A che punto sono le indagini della magistratura di Roma su questo strano furto?
Non è la prima volta che consolati e ambasciate italiane sono al centro di vicende così gravi. Nei giorni scorsi si è saputo che il deputato di Fratelli d'Italia Andrea Di Giuseppe ha lavorato sotto copertura per denunciare un racket di visti in ingresso nel nostro Paese, venduti a migliaia di persone arrivate in Italia da Bangladesh, Filippine e proprio Pakistan.
C'è un collegamento con la vicenda di Islamabad? Pensare che ci siano persino passaporti contraffatti grazie alla complicità del nostro personale diplomatico avrebbe ripercussioni potenzialmente esplosive per la sicurezza dell'Italia e dell'Europa. Una mancanza quasi assoluta di controlli di cui qualcuno dovrà rispondere all'esecutivo, prima ancora che alla magistratura.
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