In politica l'opportunismo è un frutto buono per tutte le stagioni. Ne sa qualcosa il ministro Luigi Di Maio che sul caso Benetton è passato da incendiario a pompiere. Il tutto senza ammetterlo però. Perché è qui che sta l'apice della paraculaggine.
Dopo aver urlato, minacciato e promesso la revoca della concessione, oggi che la revoca non è andata in porto rilascia al Corriere della Sera un'intervista che presenta dei tratti quasi parossistici.
"Beh i Benetton fuori da Autostrade non mi sembra di certo un favore. Certo, serve realismo perche è una operazione di mercato e non è la revoca", dichiara Di Maio. Ma come mai non ha usato la stessa dose di realismo quando col pugno duro dava per certa la revoca?
La farsa poi continua quando sostiene: "Guardi che non è un caso che io nelle ultime settimane non abbia parlato di revoca, quindi posso capire che qualcuno nel Movimento 5 Stelle poteva vantare aspettative diverse, ma il presidente del consiglio ha avviato un negoziato per ottenere un risultato, che come le ho già detto io ritengo soddisfacente". Quindi ora Di Maio si accontenta e scarica le responsabilità sul premier?
Infine l'apoteosi del voltagabbanismo. Alla domanda: "Ma lei avrebbe preferito la revoca oppure no?", la risposta è: "Sarò per la revoca se questa operazione non porterà un abbassamento delle tariffe e più sicurezza per gli italiani". Insomma, abbiamo scherzato. La revoca non è più un mantra né un grido di battaglia per mostrare la forza del Movimento 5 Stelle. Sembra quasi che Di Maio si sia democristianizzato.
Eppure non serve andare troppo indietro nel tempo per rileggere alcune dichiarazioni non proprio moderate. Qualche esempio?
Il 16 agosto 2018 il pentastellato affermava: "La nostra intenzione è revocare la concessione ad Autostrade per l'Italia. La posizione del governo è che chi non vuole revocare le concessioni ad Autostrade deve passare sul mio cadavere. C'è un volontà politica chiara. Noi non solo utilizzeremo tutta la procedura per revocare le concessioni, ma daremo anche la multa fino a 150 milioni di euro. Se ci faranno ricorso andremo in tribunale, ma andremo fino in fondo".
In quel mese il grillino fa un annuncio al giorno. E tutti dallo stesso tenore: "L'unica strada che il governo seguirà è quella di andare avanti con la procedura di revoca. Le loro scuse servono a poco e non vi è modo di alleviare le sofferenze di una città distrutta dal dolore. Abbiamo fatto una promessa ai familiari delle vittime e a tutti i cittadini rimasti coinvolti nella tragedia di Genova e la onoreremo andando fino in fondo".
A distanza di un anno, siamo nel luglio 2019, la musica non cambia. "Su Atlantia c'è una relazione del Mit che parla chiaro, adesso bisogna avviare la procedura di revoca delle concessioni autostradali. Per me devono avere giustizia i morti del ponte Morandi e le loro famiglie".
Nel settembre 2019 la sicumera di Di Maio addirittura aumentava sollevata da una sorta di condivisione di strategia da parte del Pd: "Su autostrade andiamo avanti con la volontà di revocare le concessioni ai Benetton, ad un'azienda che non ha mantenuto il ponte Morandi e addirittura ha nascosto le carenze manutentive: mi fa piacere che pure per il Pd questa parola non sia più un tabù". A una iniziativa di Rousseau, il grillino rassicurava la platea di iscritti e amministratori M5s: "Avete visto quello che si è scoperto ieri su ponte Morandi: perizie, documenti falsati, arresti. Spesso ci dite: ma quella cosa non l'avete fatta piu, non è vero! L'iter per la revoca è partito mesi e mesi fa, ma è un iter che bisogna percorrere con molta attenzione per arrivare all'obiettivo".
Il 21 novembre Di Maio ci crede ancora: "È un anno che cerchiamo di togliere le concessioni, c'è una battaglia legale, la vinceremo". Anno nuovo stesse promesse. Siamo a gennaio 2020 e Di Maio insiste: "Nel milleproproghe abbiamo inserito la norma sulle concessioni autostradali. Questo decreto dice finalmente che si avvia un percorso per alcune infrastrutture che ci permette di revocare le concessioni ai Benetton".
Poi piano piano l'attenzione verso la vicenda scema. Di Maio ne parla poco o quando lo fa usa termini meno perentori. È il preludio di quello che verrà.
Delle promesse non mantenute e della vittoria di Pirro, almeno se si considerano le parole del grillino. Alla fine a pagare saranno solo i familiari delle vittime, illusi ancora una volta dalla politica, soli e abbandonati nella loro tragedia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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