Fino a domenica mattina a nessuno sindacalista era venuto in mente uno sciopero generale. Anche perché il decreto 400 del governo, quello firmato dal premier Giuseppe Conte che prevede la chiusura di tutte le attività economiche non essenziali, era stato concordato con i leader di Cgil, Cisl e Uil ed è in realtà molto più rigido di quanto gli stessi rappresentati dei lavoratori potessero sperare (al massimo uno stop totale limitato alla Lombardia, come chiedeva il presidente della Regione Attilio Fontana).
A fare tornare i sindacati in trincea per chiudere il maggior numero di fabbriche e uffici è stato da una parte il tentativo - riuscito - di Confindustria di ridurre la lista dei «servizi essenziali», garantendo continuità di produzione al maggior numero di aziende.
Ma dall'altra anche un forte malcontento interno a Corso d'Italia. Nelle fabbriche del Nord i rappresentanti della Cgil che avevano cominciato a rumoreggiare già ai tempi dall'accordo sindacati - Confindustria per la sicurezza nei posti di lavoro, hanno trasmesso alla confederazione nazionale un no secco al decreto. Il leader Cgil Maurizio Landini ha deciso di assecondare gli umori dei lombardi e ha convinto i segretari generali di Cisl e Uil, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo.
Ieri la presa di posizione unitaria in una nota della confederazione guidata da Furlan: «Cgil, Cisl e Uil invitano categorie e Rsu appartenenti ai settori aggiunti nel decreto che non rispondono alle caratteristiche di attività essenziali a mettere in campo iniziative di mobilitazione fino allo sciopero generale».
L'obiettivo dei sindacati è di modificare il decreto eliminando qualche voce dalla lista dei settori che possono restare aperti.
Tra gli esempi che ieri facevano i sindacalisti c'era quello della plastica, le costruzioni e macchinari agricoli. Ma anche l'estrazione di carbone, la fabbricazione di spago e gli imballaggi in legno.
Decisivo l'incontro che si terrà oggi, in teleconferenza come quello precedente con il premier Conte, tra Landini, Furlan e Barbagallo e il ministro per lo Sviluppo Economico Stefano Patuanelli. L'osso più duro per i sindacati, considerato più vicino alle ragioni delle imprese rispetto alla collega responsabile del Lavoro Nunzia Catalfo, anche lei esponente del M5s.
Possibile che lo sciopero generale sia evitato. Già ieri sera i toni del lader della Uil Barbagallo sembrano più morbidi rispetto a quelli di Landini.
Ma non mancheranno astensioni dal lavoro, soprattutto nei settori del manifatturiero che si sentono più esposti al rischio salute per i lavoratori.
I primi a muoversi sono stati i metalmeccanici della Lombardia: Fim, Fiom e Uilm hanno proclamato per mercoledì 25 marzo uno stop di otto ore per tutte le produzioni tranne quelle «strettamente collegate all'attività ospedaliera e sanitaria». Nel Lazio le federazioni regionali delle stesse sigle si sono dette disponibili a seguire i colleghi lombardi. Le federazioni nazionali delle tute blu hanno dato disponibilità a sostenere uno sciopero fino al 29 marzo.
Sul piede di guerra aziende dove sono stati registrati casi di coronavirus tra i dipendenti. Oltre alle tute blu, sul piede di guerra i tessili e i chimici che in Lombardia seguiranno i metalmeccanici.
Malumori anche tra i colletti bianchi esposti al rischio
contagio. In una nota congiunta, Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin, sigle dei bancari, hanno lamentato la mancanza di mascherine, gel igienizzanti e guanti. Se non arriveranno minacciano uno sciopero anche loro.
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