
L'euforia per lo stop ai dazi di Donald Trump è durata poco. La guerra tariffaria ha assestato un duro colpo al sistema degli scambi globali. E questo per due motivi. Il primo è legato alla profonda incertezza creata sui mercati e tra gli investitori, il secondo al braccio di ferro con la Cina su cui pendono tariffe del 145%.
Questi due aspetti producono effetti paradossali e distorsivi come nel caso di Apple. Reuters ha raccontato che il gigante di Cupertino ha noleggiato aerei cargo per trasportare 600 tonnellate di iPhone dall'India agli Stati Uniti. Una mossa per mettere al riparo dai dazi una parte delle scorte destinate al mercato più importante dell'azienda. Ma per l'azienda si tratta solo di un palliativo dato che il grosso della sua produzione è in Cina. La scelta di Tim Cook rivela il senso di spaesamento tra le aziende statunitensi.
Gli stop and go di Trump sulle tariffe logorano la fiducia di chi investe nel sistema America e generano incertezza. Il Financial Times ha scritto che la guerra tariffaria può mettere ko l'eccezionalismo commerciale statunitense. Tradotto: il mondo smetterebbe di considerare gli Usa un porto sicuro per i capitali. Non a caso tra le ragioni del dietrofront di Trump c'è stata la pressione sui titoli di stato americani, immessi sul mercato da investitori e hedge fund per recuperare liquidità.
Altra benzina sul fuoco dell'incertezza arriva dallo scontro con il Dragone. Negli ultimi decenni le economie di Cina e Stati Uniti si sono intrecciate in modo profondo. Ma da una decina d'anni gli Usa vogliono ridurre questa esposizione, anche in vista di una possibile guerra nel Pacifico. Ma il disaccoppiamento non è semplice. Al di là degli iPhone, nessuno è al riparo. Basti pensare che persino le biciclette rischiano un'impennata dei prezzi del 50%, per non parlare di chip e prodotti farmaceutici.
Per Trump l'altro problema è che Pechino non sembra intenzionata a cedere. Il Dragone ha varato contro-dazi importanti come la stretta sull'export di terre rare, i minerali strategici per l'industria tech. In altri casi l'ha fatto in modo creativo come il taglio del numero di film statunitensi importati e proiettati nel Paese. I dazi colpirebbero indirettamente la cooperazione nella battaglia contro il fentanyl, tema su cui Trump insiste da tempo chiedendo a Pechino di frenare il flusso di precursori chimici verso i laboratori dei narcos in Messico. Per la Cina sul tavolo resta anche l'opzione nucleare: vendere una parte dei 759 miliardi di bond Usa che detiene, facendo aumentare tassi e debito Usa.
Per The Donald la sfida con Xi è un'insidia anche sul fronte interno. La Cina è infatti il terzo mercato per le esportazioni. Secondo lo U.S. China Business Council, negli Stati Uniti 921mila posti di lavoro dipendono dall'export oltre Muraglia.
Non solo. Numeri alla mano il repubblicano Texas incassa ogni anno circa 25 miliardi di dollari dall'export in Cina. Se gli scambi dovessero saltare, una grossa fetta degli elettori texani potrebbe presentare il conto al tycoon.
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