Se parliamo di vita, parliamo di piante. E se parliamo di civiltà, parliamo innanzitutto di agricoltura. È stato così intorno a dodicimila anni fa, quando gli uomini del Neolitico smisero di vivere come nomadi e cacciatori e iniziarono ad abitare in villaggi: siamo diventati esseri stanziali e comunitari coltivando e allevando. E allora se guardiamo al futuro, quello ultratecnologico delle missioni spaziali, scopriamo che è il passato ad alimentarlo, e che è ancora ben radicato nella terra.
Gli scienziati sanno che per l'umanità sarebbe impossibile abitare un pianeta senza quella fonte primaria di prodotti che è l'agricoltura: ecco perché, in parallelo allo sviluppo di mezzi di trasporto e strumenti sempre più sofisticati, nei laboratori si studia anche come coltivare piante in ambienti extraterrestri. Pensiamo in grande perché nasciamo dal piccolo: da qualche semino, in questo caso. Che ha già dato frutti incredibili: l'agricoltura spaziale oggi non è soltanto un'ipotesi da fantascienza ma è già una realtà. A occuparsene è, da venticinque anni, anche una studiosa italiana, Stefania De Pascale, che racconta la sua avventura fra spazio e terra nel libro Piantare patate su Marte (Aboca): una laurea in Agraria alla Federico II di Napoli (dove oggi insegna Orticoltura e Floricoltura), l'incontro con il mondo dell'ingegneria aerospaziale ad Amsterdam, la scoperta che proprio nella sua Napoli c'era un gruppo pionieristico di ricerca sulla Stazione spaziale internazionale, il sodalizio con due amiche e colleghe e una lunga collaborazione con l'Agenzia spaziale italiana e quella europea (in particolare con il programma Melissa dell'Esa) che l'hanno portata, nel 2019, a fondare il Laboratory of Crop Research for Space, dove si studia la coltivazione di piante «per i sistemi rigenerativi di supporto alla vita nello spazio». Spiega De Pascale che «l'agricoltura spaziale è possibile ed è qualcosa a cui si lavora in tutto il mondo in questo momento, perché sarà la chiave per l'esplorazione spaziale». Il motivo è semplice: fino a che andiamo sulla Iss, che si trova a breve distanza, gli equipaggi possono vivere attraverso i rifornimenti dalla Terra; ma se pensiamo di tornare sulla Luna e da lì poi raggiungere Marte, il discorso cambia. «Marte dista fra i 55 e i 400 milioni di chilometri, una missione non può durare meno di 500 giorni e bisogna calcolare un fabbisogno pari a 5-15 kg di rifornimenti a persona al giorno: significa, in totale, fra le 2,5 e le 7,5 tonnellate di rifornimenti a persona. Un bagaglio non proponibile». Ecco perché serve riuscire a produrre il cibo anche laggiù. Anche se, proprio come avviene sulla Terra, le piante non sono «solo» la fonte fondamentale della nostra alimentazione ma giocano un ruolo cruciale molto più ampio: «Emettono ossigeno e assorbono anidride carbonica, possono produrre sostanze organiche attraverso la fotosintesi, purificano l'aria, possono utilizzare gli scarti organici come nutrimento e hanno effetti psicologici positivi sull'equipaggio per mitigare lo stress causato dall'isolamento».
Se parliamo di vita, parliamo di piante, anche sulla Luna e su Marte... Però i problemi da affrontare non sono né pochi, né banali. De Pascale e colleghi sono impegnati soprattutto a elaborare strategie per risolverli, con una aggravante: le strategie, così come le specie di piante, vanno adattate al contesto. Esempio: «Sulla Iss coltiviamo già, in piccole camere di crescita chiamate salad machine: si producono piccoli ortaggi da foglia, a ciclo breve, con poche esigenze, detti pick and eat». Li raccogli e li mangi. Il primo pasto è avvenuto nell'estate del 2015: una lattuga romana a chilometro zero. Oggi sulla Iss si coltivano anche grano, pomodori, ravanelli, zinnie. La microgravità sulla Stazione spaziale rende impossibile spruzzare o versare acqua e quindi impone sistemi di irrigazione capillare attraverso il movimento dell'acqua nel substrato. Ma sulla Luna e su Marte le condizioni sono diverse: «Nelle future colonie la gravità c'è, anche se ridotta, e quindi si utilizzerebbero sistemi più simili alle serre terrestri, idroponici, e le risorse in situ, per esempio la regolite lunare o marziana, come substrato. Esattamente come fa Matt Damon in The Martian. E noi nei nostri laboratori studiamo proprio come migliorare le caratteristiche della regolite».
Cambiano anche i tipi di coltivazioni. Sulla Iss bastano ortaggi freschi da integrare alla dieta, mentre nelle colonie permanenti i prodotti dell'agricoltura spaziale dovrebbero fornire gran parte delle calorie necessarie, quindi tra le specie «candidate» ci sono anche i cereali come riso, grano e mais, le leguminose come soia e fagioli e i tuberi. Il problema maggiore da affrontare, dice De Pascale, è che «ogni contesto ha sfide diverse». Poi ce ne sono di specifici: la microgravità sulla Iss, che richiede di ingegnarsi sulle soluzioni tecniche; le radiazioni idionizzanti su altri pianeti, che costringono a creare habitat protetti e schermati; le condizioni ostili di Marte, dove l'atmosfera è sottilissima e composta al 95 per cento da Co2 e le temperature estreme, con una media di sessanta gradi sottozero, perciò servono l'illuminazione artificiale per la crescita delle piante e sistemi per controllare i parametri ambientali. Infine, sulla Luna e su Marte c'è acqua, sotto forma di ghiaccio, ma bisogna estrarla e poi creare sistemi di coltivazione circolari, in cui si ricicli tutto, dall'acqua ai nutrienti. «Studiamo una miscela di parametri che ottimizzi le funzioni di questi sistemi: la ricetta giusta. Tutte le risorse devono essere risparmiate e riutilizzate, perché nello spazio non ci sono taverne...».
Un circolo così virtuoso che riguarda l'agricoltura stessa. «Agli esordi, l'agricoltura spaziale si è ispirata a quella terrestre; oggi, viceversa, l'agricoltura terrestre può imparare da quella nello spazio» spiega De Pascale. Nei laboratori più all'avanguardia nascono «idee e tecniche utili per la sostenibilità dell'agricoltura terrestre, nella sua sfida di sfamare una popolazione in crescita esponenziale, con la necessità di risparmiare sempre di più risorse naturali che già scarseggiano. E poi, piante nello spazio significa anche più spazio alle piante sulla Terra: le tecniche elaborate per far crescere piante in ambienti ostili ci permetteranno di coltivare anche in ambienti estremi come i Poli, i deserti e il cuore delle megalopoli».
Quanto al sapore, beh, è un altro discorso. Innanzitutto perché gusto e olfatto sono alterati in certe condizioni.
E poi perché al momento gli scienziati si preoccupano più della quantità che delle stelle Michelin. Dal punto di vista nutrizionale, invece, nessun problema: mangiare patate su Marte funzionerà, come da qualche millennio a questa parte.
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