Cari euroburocrati, il Prosek croato bevetevelo voi a Bruxelles, città in cui il massimo della vita alcolica è la acidissima birra Lambic, da cui il termine lambiccarsi, sottinteso il cervello. Esercizio in cui è evidentemente assai vocato chi, nella illuminatissima Commissione europea, ha dato il via libera al riconoscimento della menzione tradizionale «Prosek» da parte delle autorità di Zagabria. Non ci vuole la lucidità di un astemio per comprendere che si tratta di un calco dell'italianissimo Prosecco, amato in tutto il mondo sia come bollicina da compagnia sia come ingrediente dell'ormai universale Spritz.
La decisione ha provocato reazioni a dir poco frizzanti nell'Italia che di vino vive. Vero è che, come fa sapere il commissario all'Agricoltura, il polacco Janusz Wojciechowski, uno che di vino immaginiamo capisca come noi di Pierogi (trattasi di ravioli senza gloria molto diffusi a Varsavia e dintorni), dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea le parti interessate «disporranno di un termine di due mesi per presentare un'obiezione motivata», ma la cosa non ci rassicura. L'Italia queste partite è abituata a perderle. Accadde per il Tocai, vino bianco fermo friulano di cui gli ungheresi produttori dell'assai differente Tokaj richiesero - con successo - lo sbattezzamento (ora si chiama Friulano e sta appena riprendendosi dal trauma da cambio di identità). E accadde per il Consorzio del Gallo Nero, che identificava il Chianti Classico, terra di secolari tradizioni vinicole azzerato da un tribunale americano che voleva tutelare un altro Gallo, produttore che così fa di cognome. In California, terra che quando il Chianti già deliziava coi suoi vini ancora doveva essere scoperta, per dire.
Ce la farà l'Italia a difendersi dall'offensiva della temibile brigata alcolica croata? Dipendesse da Luca Zaia, governatore veneto, la questione nemmeno si porrebbe: «È vergognoso. Così non si difende l'agricoltura e così non difendono investimenti. Ma, soprattutto, così si mortifica la storia e l'identità di un territorio». Dipendesse da uno qualsiasi dei produttori che sfornano ogni anno 600 milioni di bottiglie di bollicine italiane a metodo charmat da uve Glera, il Prosek non esisterebbe. E tutta la politica italiana, a destra, a sinistra, al centro, impugna il calice e dice no allo scippo di un nome che è marchio del made in Italy liquido. Vi risparmiamo per amore di patria la lista di chi ieri si è stracciato le vesti per il Proseccogate. Non aggiungerebbe nulla al ragionamento.
Però, va detto, i croati qualche asso per difendere il Prosek ce l'hanno: vino
dolcino, da uve Bogdanua, Maratina e Vugava e aloro dire millenario. Loro gridano al boicottaggio e ci godono a farci fare la figura di Golia contro Davide. Crediamo di sapere come finirà. E non ci sarà da brindare. Cin cin.
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