Processo al Sistema: se Roberto Spanò, presidente del tribunale di Brescia, non cambierà idea, il processo contro Piercamillo Davigo, ex membro del Consiglio superiore della magistratura e ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati, promette di trasformarsi in una ricostruzione a favore di telecamera dei meccanismi che regolano dietro le quinte la vita della magistratura italiana. Perché non si può capire davvero la storia dei verbali sulla loggia Ungheria, passati di mano in mano come se fossero volantini e non atti coperti da segreto, senza ricostruire gli obiettivi, le alleanze, le rivalità che hanno mosso tutti i protagonisti. Così nell'elenco di testi che ieri il giudice Spanò ammette c'è mezzo Gotha della magistratura italiana: sei membri in carica del Csm, a partire dal vicepresidente David Ermini, i due massimi vertici della Cassazione (il presidente Curzio e il procuratore generale Salvi), l'intero vertice della Procura di Milano, compreso l'ex procuratore Greco e il capo del pool antimafia Alessandra Dolci, compagna di Davigo. Tutti, per il pezzo di loro competenza, chiamati a spiegare come sia stato possibile che dichiarazioni micidiali come quelle messe a verbale dall'ex avvocato di Eni Piero Amara restassero per mesi a sonnecchiare a Milano, salvo venire usate per cercare di affossare un giudice scomodo alla Procura; e venissero poi divulgate, grazie a Davigo, fino ad arrivare al Quirinale.
Se Spanò non sfoltisce la lista, insomma, sarà un processo interessante. Davigo punta a uscirne assolto e anche pubblicamente riabilitato, per questo ieri dà il via libera alle telecamere in aula. Ieri l'ex «Dottor Sottile» del pool Mani Pulite appare carico, forse fin troppo. Prende subito la parola, si dichiara innocente, si infervora al punto che il giudice deve stopparlo: «È difficile svestire la toga quando si è dall'altra parte, la inviterei a calarsi nella parte dell'imputato», dice Spanò senza tanti giri di parole all'ex collega. Davigo non se la aspettava, si blocca un attimo. Forse solo in quel momento capisce che per la prima volta in vita sua, nell'aula di tribunale seduto sul banco dell'accusa non c'è lui. E che lo status di ex magistrato non gli garantirà alcun trattamento di riguardo.
Il primo testimone a venire interrogato sarà, il prossimo 24 maggio, Paolo Storari: il pm milanese che partendo lancia in resta contro i propri capi e l'insabbiamento dei verbali di Amara ha dato il via a questo pasticcio epocale. Storari e Davigo erano imputati insieme di rivelazione di segreti d'ufficio, la loro sorte appariva intrecciata, Davigo poi ha scelto la strada del processo a porte aperte «perché ritengo che l'opinione pubblica voglia sapere cosa è successo», Storari invece ha chiesto il rito abbreviato ed è stato assolto ma la partita per lui non è chiusa. La Procura di Brescia infatti ha impugnato l'assoluzione con un ricorso piuttosto duro, «anche nel caso che il Csm avesse qualche competenza a conoscere le dichiarazioni di Amara certamente non lo era Davigo e men che meno nel salotto di casa sua».
Se confermerà quanto detto durante le indagini preliminari, Storari il 24 maggio spiegherà che fu proprio Davigo a garantirgli che il passaggio dei verbali, anche in quella forma assai sbrigativa, era del tutto legale.
A quel punto il focus si sposterà su un punto chiave: perché Davigo prima si fa dare i verbali e poi li divulga? Il sospetto è che li volesse utilizzare per regolare i conti col collega Sebastiano Ardita, ex amico divenuto acerrimo nemico. Niente di troppo nobile, insomma. Ardita ha ottenuto di costituirsi parte civile, ha un avvocato implacabile, e difficilmente accetterà una verità sbrigativa.
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