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Ddl Cybersicurezza, torna il carcere per i giornalisti

Arrivano due emendamenti al disegno di legge sulla cybersicurezza ed ecco che s'ode un tintinnar di manette anche per i cronisti

Ddl Cybersicurezza, torna il carcere per i giornalisti

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Arrivano due emendamenti al disegno di legge sulla cybersicurezza ed ecco che s'ode un tintinnar di manette anche per i cronisti. Che qualora venissero approvati rischierebbero il carcere fino a 3 o addirittura fino a 8 anni nel caso in cui pubblichino informazioni di illecita provenienza essendo consapevoli della loro origine opaca.

I due emendamenti, a firma Enrico Costa (Azione) e Tommaso Calderone (Fi), hanno già incassato il via libera dall'Autorità Delegata per la sicurezza della Repubblica, Alfredo Mantovano, anche se lo stesso sottosegretario, ieri, alla presentazione della relazione dell'Agenzia per la cybersicurezza nazionale, ha assicurato che l'esecutivo «deve ancora riservare una riflessione su questi emendamenti», aggiungendo anzi che «su quelli di Azione mi pare ieri ci sia stata una valutazione di non ammissibilità». In realtà, come detto, per entrambi è arrivato il via libera e verranno appunto esaminati: ma che cosa comporterebbero se fossero approvati? Quello di Costa prevede da sei mesi fino a tre anni di carcere per chiunque, conoscendone la provenienza illecita, diffonda informazioni al pubblico «mediante qualsiasi mezzo». L'emendamento dell'azzurro Calderone, invece, prevede di estendere l'applicazione delle disposizioni in materia di ricettazione, riciclaggio e autoriciclaggio anche ai dati o ai programmi sottratti a un sistema informatico/telematico in modo illecito, e in particolare alla loro utilizzazione, riproduzione, diffusione o divulgazione, anche in questo caso con qualsiasi mezzo. Una formulazione che, ovviamente, sembra pure questa riguardare da vicino anche i giornalisti e che prevede il carcere fino a sei-otto anni.

Molto critica con gli emendamenti presentati è la Fnsi, che con la sua segretaria generale Alessandra Costante parla di «attacco all'informazione italiana» e sottolinea come «ai giornalisti italiani si chiede non solo di verificare se una notizia è vera», ma anche «di vestire i panni degli investigatori per accertarsi che a monte non ci sia un reato».

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