Deif, il "fantasma". L'anima di Hamas dietro l'escalation

Il capo militare degli integralisti da 20 anni è nel mirino degli 007 israeliani Riapparso ieri in video per rivendicare

Deif, il "fantasma". L'anima di Hamas dietro l'escalation
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Lui ha rivendicato gli attacchi. Lui la mente dietro la nuova strategia. Lui, oggi, a cantar vittoria. Restando nell'ombra, entrando nella leggenda. Mohammad Deif, 58 anni stimati, capo dell'ala militare di Hamas, è il «gatto dalle nove vite» della vecchia guardia della resistenza armata. Un fantasma riapparso ieri in video per rivendicare l'«Alluvione».

Quattro telefoni fissi sulla scrivania. Sfocatura sulla sagoma del corpo. Voce calma. Niente slogan truculenti. Non è tipo che grida o inneggia ad Allah ma un sanguinario miliziano, leader mutilato solo nel fisico, scampato a una decina di raid del Mossad. Da vent'anni nel mirino degli 007 israeliani. Inafferrabile, sempre nascosto. Avvezzo ai travestimenti. Mascherato quand'è stato necessario spostarsi da un rifugio a un altro, ha continuato ad agire nell'ombra. Sopravvissuto ai repulisti dal cielo perdendo un occhio, moglie e figli, finendo (forse) in sedia a rotelle, è un «revenant» del braccio militare di Hamas. Leggenda vivente nella Striscia, ha capito come mescolare la scuola delle Brigate Qassam (che contribuì a strutturare con razzi e bombe) alle nuove potenzialità hi-tech offerte dal sempre più stretto alleato: l'Iran. La maggior parte delle armi proviene infatti dalle forze al-Quds dei pasdaran. Droni, missili Qassam, R-160, M 302D, M-302B, J-80, M-75; e i Fajr 3 e 5.

Deif, dopo l'ascesa, ha cambiato stile ma non obiettivi. E chi pensa che l'assalto di ieri sia l'ultimo tassello, una sorta di canto del cigno, sbaglia. Anche il leader politico di Hamas, Haniyeh, lo considera il primo traguardo di un nuovo corso; «guerra» con un ruolo più centrale di Teheran e degli Hezbollah libanesi. Bisogna però riavvolgere il nastro al 2021 per capire l'evoluzione tattica del «fantasma» di Gaza. Morto l'allora stratega dei missili, Abu Harbid, boss del nord della Striscia, Deif ha preso in mano l'organizzazione. In quel frangente Hamas chiese aiuto agli ayatollah, e Haniyeh (rieletto n°1 del partito per 4 anni) inviò una lettera alla Guida Suprema Khamenei per «l'immediata mobilitazione della comunità musulmana, araba e internazionale per costringere il nemico sionista a porre fine ai crimini». Deif aveva già fatto ampliare la rete di tunnel e cambiato i metodi di comunicazione. Rimpolpò le milizie. Si stima che da allora Teheran abbia versato a Hamas 100 milioni di dollari l'anno. Ma il sostegno tecnico e finanziario non bastava a sfondare Iron Dome e penetrare nei villaggi israeliani. Quindi? Basta girare con i kalashikov come rabdomanti. Serviva infiltrarsi, sbarbarsi se necessario. E colpire all'unisono. Senza cellulare né pc, spaesando gli israeliani. L'ultima e unica foto di Deif (erede del cervello degli attacchi suicidi anni Novanta) è del 2001, quando uscì da un carcere dell'Anp. Dal 2015 è nella lista dei terroristi del Dipartimento di Stato Usa.detto attraverso emissari. Con una svolta dopo il 2021.

Deif ha giustificato l'operazione di ieri col rifiuto di Israele di «liberare i prigionieri». Ma dietro c'è un piano a più tappe e con più attori. Sono passati dieci anni da quando il generale israeliano Giora Eiland, ex consigliere per la sicurezza, diceva al Washington Post che «chi decide dentro Hamas è Deif». Oggi più che mai è lui a dar le carte. Pure il riavvicinamento con Hezbollah è in corso. E se è vero che un rapporto degli 007 israeliani parlava giorni fa di attività più intense del solito nella Striscia, forse è stato sottovalutata la «svolta tecnologica» di Hamas. Mascherata, celata dietro diversivi e zero urla di battaglia. Niente fino ai colpi in serie: fino alla penetrazione nelle città con gli infiltrati. Al massimo messaggi audio registrati da Deif per dar indicazioni ai suoi o ultimatum al Mossad.

Dal primo audio noto del 2003 in cui giurava «La vostra vita sarà un inferno», all'avvertimento del maggio 2021, in cui «l'inafferrabile» promise a Israele che avrebbe pagato un «prezzo pesante» se non avesse soddisfatto le richieste. Lì ruppe il silenzio per la prima volta in sette anni. Ieri in video, circondato dall'aura mitologica dovuta alle capacità di sopravvivenza, riecco il non-volto di Gaza. Vivo, e sempre più leader.

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