Delitto Cella, il fratello dell'imputata: "Potrebbe averla uccisa lei"

Testimonianza choc contro la Cecere: "È violenta, di una cattiveria impressionante se la contraddici"

Delitto Cella, il fratello dell'imputata: "Potrebbe averla uccisa lei"
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«Mia sorella può avere ucciso. Se viene contraddetta diventa di una cattiveria impressionante. Se Nada quel giorno le ha risposto male, magari ha cominciato a colpirla».

È Maurizio, il fratello minore di Annalucia Cecere, l'ex insegnante sospettata di avere ucciso per un raptus di gelosia la segretaria Nada Cella il 6 maggio 1996 a Chiavari, a parlare così al margine del processo che vede imputati sua sorella e Marco Soracco, il commercialista datore di lavoro di Nada, accusato di favoreggiamento e false dichiarazioni al pm. La donna, secondo l'accusa, avrebbe ucciso la segretaria 24enne perché la riteneva una rivale in amore, essendosi lei invaghita di Soracco, conosciuto in una scuola di ballo. Dopo avere saputo che le indagini erano state riaperte 28 anni dopo il delitto e che la sorella era coinvolta, Maurizio ha iniziato a farle domande. «Mi ha detto - ha spiegato in aula ai giudici - che non era stata lei a ucciderla. Lei non voleva parlare al telefono, mi diceva che poteva essere intercettata e mi chiamava con telefoni non suoi. È sempre stata una donna irascibile, che si arrabbiava se la contraddicevi. Se ha sbagliato deve pagare». A fine udienza con i cronisti è stato ancora più esplicito, dicendo che potrebbe davvero essere stata la sorella ad uccidere la ragazza. Anche se si tratterebbe solo di una sensazione, legata al suo carattere violento.

Prima di lui era stato sentito un ex fidanzato, Adelmo Roda, che ha confermato la descrizione di una donna «possessiva e gelosa»: «Quando si arrabbiava era impossibile farla ragionare. Era esplosiva a livello di parole». L'uomo ha riferito che quando sono state riaperte le indagini la Cecere lo cercava: «Continuava a farmi domande sulla nostra relazione, continuava a dire che era finita dopo l'omicidio di Nada, ma in realtà era finita prima». Poi ha risposto alle domande sui bottoni di una giacca che usava per andare a pesca. Bottoni molto particolari, con base metallica incastonata, una stella a cinque punte e la scritta «Great Seal of the State of Oklahoma», identici a quello trovato vicino al corpo di Nada. Dunque un dettaglio importantissimo per il processo. «Sapevo che li aveva tolti dalla mia giacca perché le piacevano. Lo fece nell'estate del '95, quando ormai la nostra storia era già finita». Sempre sui bottoni è stato sentito un collezionista ed ex produttore, Stefano Cannara, che ha confermato che il bottone trovato sotto il corpo della segretaria era compatibile con quelli trovati a casa della Cecere pochi giorni dopo il delitto. Ma che erano anche molto diffusi.

È stata la criminologa Antonella Delfino Pesce, consulente della famiglia Cella, a fare riaprire il caso quando sembrava ormai destinato all'archivio, portando al rinvio a

giudizio di Annalucia Cecere, nonostante inizialmente la gup avesse chiesto l'archiviazione perché a suo dire non c'erano elementi sufficienti per procedere contro la donna. Decisione poi ribaltata dalla Corte d'appello.

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