Quando risponde al telefono Rita Bernardini ha la voce asciutta di sempre, ma questa volta qualcosa è incrinato. La legalità nelle carceri italiane, le condizioni più umane, sono battaglie che lei, come presidente dell'associazione Nessuno tocchi Caino, fa a tempo pieno da anni.
«53 morti» dice secca. «Un numero enorme. È il bilancio aggiornato dei carcerati che si sono tolti la vita dietro alle sbarre. Purtroppo il ragazzo di 25 anni che a Torino si è soffocato nella sua branda non è nemmeno l'ultimo. Proprio poche ore fa il Garante dei detenuti di Piacenza mi ha comunicato che un uomo di 55 anni originario di Bergamo, recidivo, con problematiche psichiatriche si è impiccato. Si trovava nel reparto Rop per osservazione psichiatrica ed era in attesa che si definisse la sua posizione dato che era a Piacenza da oltre un mese».
Lei intanto ha già pensato e messo in atto l'ennesima iniziativa nonviolenta. Cosa farà?
«Veramente sto già facendo: dalla mezzanotte del 16 agosto ho iniziato lo sciopero della fame rivolto a tutti coloro che nelle istituzioni possono intervenire per fermare l'ondata di suicidi che si sta verificando nelle carceri italiane».
Il quadro è peggiorato negli ultimi anni?
«Il trend è decisamente in crescita per la diffusa disperazione. A metà agosto dello scorso anno eravamo a 20 suicidi in meno».
Lo stesso triste fenomeno si verifica anche in altri Paesi europei?
«Da noi le morti per suicidio rappresentano il 38,2 per cento delle morti in carcere, mentre la media europea è del 26 per cento».
Quali sono le misure più urgenti che andrebbero prese?
«C'è molto sconforto nella comunità penitenziaria: sono anni che le istituzioni non riescono a dare le risposte necessarie a far rientrare nella legalità costituzionale l'esecuzione pensale e, in primo luogo il carcere. Io so che tanto la Ministra Cartabia, quanto il capo del Dap Renoldi, oltre ad essere sensibili, hanno quella capacità di intervento che è sempre mancata in passato perché è diffusa la convinzione che con pene umane e rieducative si perdono voti».
È così?
«Ma no! Anzi, proprio questo sistema crea recidiva e quindi insicurezza perché a fine pena escono persone distrutte e non in grado di integrarsi».
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