La domenica cristiana: chiese aperte a Damasco. "Ma abbiamo paura"

Il frate: "I miliziani sono dei fanatici". Le donne: "Temiamo l'obbligo del velo"

La domenica cristiana: chiese aperte a Damasco. "Ma abbiamo paura"
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Le campane suonano di nuovo a Damasco e nelle chiese tornano i fedeli dopo l'arrivo dei nuovi conquistatori la domenica precedente. «Noi cristiani abbiamo paura perché non sappiamo quale sarà il nostro futuro e quello del paese. Il nuovo governo ha garantito che verranno rispettate tutte le comunità, ma vengono da Idlib dove da dieci anni vivevano in uno stato islamico», spiega Georges Assadourian, vescovo armeno di Damasco. Prima della messa ci accoglie nella chiesa di Bab Touma, la porta di Tommaso, il quartiere dove vivono i cristiani, ma con campanili che si mescolano a minareti. «Vogliamo una Siria libera, indipendente e laica. Ahmed al-Shara, che si faceva chiamare al Jolani ha detto di essere cambiato da quando sono stati uccisi preti e fedeli. Aspettiamo e osserviamo cosa accadrà fino a marzo quando si parla di elezioni, ma per ora i moderati laici che si opponevano ad Assad sono fuori dal cambiamento», fa notare il vescovo che parla bene l'italiano dopo gli studi a Roma. Non ci sono violenze o minacce da parte dei barbuti islamici che hanno preso il potere, ma «hanno cominciato a girare per i negozi cristiani dicendo di non vendere alcolici», racconta il religioso. In molti si stanno allineando dipingendo di bianco le saracinesche che avevano ancora la bandiera del regime di Assad con due stelle. E qualcuno mette in evidenza quella nuova dei talebuoni con tre stelle.

La chiesa cattolica della conversione di San Paolo è gremita di gente con le donne cristiane in prima fila che cantano e pregano scambiandosi un segno di pace. «Siamo felici del cambiamento - sottolinea Rana al Jrjous uscendo dalla funzione - Abbiamo speranze, ma anche paura per il futuro». Maria, che parla italiano, chiede solo «una vita migliore» e un'altra cristiana più giovane, con i capelli lunghi, ammette di «avere paura che mi impongano il velo. Spero che rispettino la mia religione». Per i vicoli della città vecchia si vedono ragazze con il velo o senza come prima della caduta del regime, ma sono aumentate le donne che si coprono integralmente con una specie di burqa nero. Non poche sono arrivate da Idlib, l'ultima ridotta jihadista al confine con la Turchia, da dove è partito al Jolani con i suoi miliziani del Comitato di liberazione del Levante. «Altre musulmane sono di Damasco e hanno preso coraggio con l'arrivo dei ribelli indossando il velo integrale, che prima era visto male», spiega un giovane ben informato della capitale.

Firas Lufti, il francescano custode della Terra Santa, ribadisce che «il primo sentimento era di gioia legato al superamento della dittatura, ma se quello che verrà sarà migliore è un grande punto interrogativo». Anche lui parla perfettamente italiano e ricorda che «i miliziani al potere hanno alle spalle un bagaglio islamo-fanatico, estremista e jihadista. Questo stile di governo non può reggere in Siria, un paese mosaico di etnie e religioni. Speriamo di non arrivare alla conclusione che si stava meglio quando si stava peggio».

Ad un'ora di macchina da Damasco c'è Malula, la piccola perla della cristianità dove si parla ancora l'aramaico, la lingua di Gesù. La strada principale è disseminata ad intermittenza da mezzi militari fracassati, un camion con un cannone semovente abbandonato e automobili inzuppate di raffiche di mitra simbolo di una specie di 8 settembre siriano, quando Bashar al Assad è fuggito a Mosca. Nella piazzetta di Malula ci sono ancora i bossoli dei proiettili sparati in aria per celebrare la caduta del regime ed i cristiani stanno mettendo in piedi una grande struttura in ferro a forma di albero di Natale con una stella sulla punta. Nel 2013 la cittadina, un tempo meta turistica, è stata occupata da Al Nusra, la costola di Al Qaida dove è cresciuto Al Jolani. Le suore del monastero di Santa Tecla incastonato nella montagna erano state rapite, ma non parlano, come gli abitanti cristiani. Le saracinesche dei negozi hanno ancora i colori e le stelle della vecchia bandiera del regime. Un ragazzo con una giubba mimetica non si lamenta di Tahrir al Sham, che ha preso il potere a Damasco, ma di alcune famiglie musulmane che sono tornato a Malula con l'avanzata dei ribelli e vorrebbero vendicarsi dei cristiani.

Sulla

strada del ritorno un'alta colonna di fumo nero si alza dalla periferia di Damasco: probabilmente uno dei 61 bombardamenti israeliani delle ultime ore su un arsenale di Assad, che è meglio non finisca nelle mani dei talebuoni.

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