Quella di Bologna resta un mantra irrefutabile. Quella di Ustica, invece, si può ribaltare e riscrivere a piacimento. E all'operazione possono concorrere non solo giornalisti e opinionisti, ma anche ex-presidenti del Consiglio e della Consulta. È il paradosso della «verità giudiziaria» all'italiana. Un paradosso ben rappresentato dall'indifferenza con cui Giuliano Amaro calpesta dalle pagine di Repubblica le sentenze sul disastro di Ustica.
Un paradosso reso ancor più evidente dalla contiguità temporale con le dimissioni del portavoce della Regione Lazio Marcello De Angelis costretto all'abbandono non tanto per le canzonacce scritte trent'anni fa quanto per i dubbi espressi sulla sentenza che attribuisce la strage di Bologna al terrorismo neofascista. Dubbi ampiamente argomentati, peraltro, in un libro firmato dal giudice Rosario Priore. Giuliano Amato, invece, è pienamente titolato - nonostante gli strafalcioni storici e tecnici inanellati nell'intervista a Repubblica - a criticare la sentenza (ribadita in Corte d'Assise, Corte d'Appello e Corte di Cassazione) che attribuisce ad una bomba il disastro di Ustica. Quella verità giudiziaria - a differenza delle tesi di Amato - non si basa su semplici deduzioni, ma sulla perizia eseguita sul 90 per cento dei resti del DC 9 Itavia. Perizia firmata non da un cialtrone qualsiasi, ma da un collegio internazionale guidato dal professore Aurelio Misiti, massima autorità italiana del settore, affiancato da esperti internazionali provenienti da paesi non coinvolti nel disastro. Come se non bastasse le tesi contenute nell'istruttoria del giudice Rosario Priore (spesso spacciata in assoluta malafede per verità giudiziaria) sono state assolutamente confutate nelle 272 udienze del processo. Tanto che nelle motivazioni della sentenza la tesi del missile viene liquidata come «fantapolitica o romanzo frutto della stampa che si è sbizzarrita a trovare scenari di guerra, calda o fredda». Ma il vero problema - aldilà del paradosso sul mutevole valore delle «verità giudiziarie» - riguarda la ricerca dei colpevoli. In questi 40 anni le improbabili ricostruzioni rilanciate da Amato non hanno soltanto complicato i rapporti con Parigi, ma anche sbarrato la strada a qualsiasi ricerca della verità. Le fantasie di chi ricostruisce improbabili battaglie aeree e accusa i nostri generali sono state - e restano - il miglior pretesto per impedire qualsiasi vera indagine sui mandanti della bomba. Un'indagine che non era difficile capire da dove far partire. Anche perchè alle 10 del mattino del 27 giugno, solo 36 ore prima del disastro, Stefano Giovannone, il colonnello del Sismi demiurgo e garante da Beirut del cosiddetto lodo-Moro tra Italia e fazioni palestinesi, invia a Sirio, nome in codice di un suo superiore a Roma, un cablogramma urgente ed esplicito.
«Habet informatomi tarda serata due sei che Fplp avrebbe deciso riprendere totale libertà azione senza dar corso ulteriori contatti». L'Fplp, la fazione palestinese appoggiata da Gheddafi, era pronta, insomma, a infrangere il lodo-Moro e riprendere l'attività terroristica in Italia.
Peccato che 40 anni dopo quella verità resti, nascosta dietro la cortina fumogena di improbabili battaglie aeree combattute nei nostri cieli. Con tanti saluti non solo alla riverita verità giudiziaria, ma anche ai mandanti della strage.
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