Draghi ora non cede al pressing dei partiti: dimissioni irrevocabili

Mercoledì le comunicazioni in Aula senza voto. Urne anticipate più vicine

Draghi ora non cede al pressing dei partiti: dimissioni irrevocabili

«Forse dovevate pensarci prima». Chi bussa disperatamente alla porta di Mario Draghi, cercando di convincerlo a tornare sui suoi passi, ottiene risposte di questo tenore.

La farsesca esplosione incontrollata dei Cinque Stelle, lo sfracellamento della (presunta) leadership di Giuseppe Conte, che ieri si tirava i piatti persino con l'ex maggiordomo Rocco Casalino, la rissa grillina tra ministri che non si vogliono dimettere e parlamentari che non vogliono perdere la poltrona, sono solo uno degli ingredienti, il più folkloristico e demenziale, e anche il più palesemente torbido dal punto di vista del «cui prodest», di un minestrone politico (e non solo politico) comunque impazzito, e che in nessun modo, salvo rare eccezioni, si è dimostrato all'altezza delle sfide e delle responsabilità che i tempi avrebbero dovuto dettare.

Dal Pd ammanettato agli avventuristi contiani e ora atterrito dalla loro deriva, alla Lega di un Salvini che ancora ieri invocava nuovo debito e sfondamento dei conti Inps con la cancellazione della Fornero, come se questa fosse la allegra stagione delle vacche grasse da mungere gratis. Per non parlare degli interlocutori sociali: ieri, a Palazzo Chigi, si sorrideva amaramente del proclama firmato dalla Cgil di Landini, che invocava stabilità di governo per «fare le riforme» dopo aver sobilllato Conte e sputato, minacciando rivolte di piazza, nel piatto del patto sociale offerto dal governo per salvaguardare salari e risparmi.

«Potevate pensarci prima». Ora la ricreazione è finita, ed è un po' tardi per accorgersi che Mario Draghi era l'unico possibile garante internazionale del paese. Un garante che non ha alcuna intenzione di finire ostaggio della cupio dissolvi di una campagna elettorale permanente che prescinde dalla realtà. E quindi, dicono a Palazzo Chigi, la strada è segnata: mercoledì il premier parlerà alle Camere, spiegherà con la consueta chiarezza perché, in queste condizioni, è impossibile proseguire una seria azione di governo. Poi «salirà al Colle a dimettersi», e nella road map concordata con Mattarella le dimissioni verranno respinte (visto che non c'è mai stato un voto di sfiducia), le Camere verranno sciolte e Draghi resterà in carica fino alle elezioni e alla nomina dell'eventuale successore. Facendo nel frattempo tutto il possibile per tenere l'Italia sui binari giusti della sfida epocale alle democrazie occidentali mossa dai regimi autoritari. Non è un caso, infatti, se ieri dalla Ue sono arrivati allarmi espliciti: «È chiaro che la Russia stia cercando di destabilizzare la Ue», ha riconosciuto il portavoce della Commissione, adombrando che chi si adopera per impallinare il governo italiano risponda, consapevolmente o meno, a interessi antidemocratici.

Nel fronte politico italiano, il Pd - che ancora non riesce a prendere esplicitamente le distanze definitive da Conte, è in forsennato pressing per ottenere un voto parlamentare che confermi la fiducia a Draghi. Contando sulla spaccatura di M5s e offrendo «la testa di Conte», come dice un dirigente, e la nuova probabile scissione dei governisti pentastellati in cambio di un prolungamento della legislatura: «Lavoriamo per la prosecuzione di un governo di unità nazionale», dice Andrea Orlando. Ma, come gli ha fatto notare il ministro «tecnico» Cingolani nell'ultimo burrascoso CdM, «siete voi che avete fin qui coperto il gioco di M5s». Salvini e Berlusconi rilanciano la palla al centrosinistra: «Andare avanti con i grillini è impensabile». Ma lo stesso Giorgetti, «draghiano» della Lega, ammette: «A questo punto la partita è assai difficile da sbloccare». E Giorgia Meloni, che in casa Fdi viene descritta come eccitata da una possibile vittoria elettorale ma al tempo stesso atterrita dalla possibilità di dover poi affrontare la prova del governo, avverte gli alleati: «Proseguire con il Pd sarebbe molto grave».

Il ministro degli Esteri Di Maio punta il dito su Conte: «Mi piange il cuore nel vedere che ieri sera a Mosca stavano brindando perché era stata servita la testa di Draghi sul piatto d'argento a Putin. Le autocrazie brindano e le democrazie sono più deboli».

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