Sono giorni che Mario Draghi spinge per accelerare il più possibile sul fronte delle aperture. Lo ha fatto anche martedì scorso, durante una riunione ristretta a Palazzo Chigi. E immaginando la data del 26 aprile come potenziale primo step, con l'allentamento di alcune delle misure di contenimento del virus. E il 3 maggio come quella in cui mettere a segno un cambio di passo e tornare finalmente verso la normalità. Il tutto, ovviamente, se - come auspica il premier - i numeri che monitorano quotidianamente l'andamento della pandemia lo consentiranno. Con una differenza rispetto al passato, perché - è stato il ragionamento - questa volta, diversamente dallo scorso anno, si tratterà di aperture definitive e non passeggere. Un messaggio che vuole segnare una discontinuità rispetto al Conte 2, dal quale Draghi ha ereditato un piano vaccinale certamente in ritardo, sia sul fronte dell'approvvigionamento che della somministrazione.
È in questa direzione, dunque, che continua a muoversi l'ex banchiere centrale, ben consapevole che è sempre più impellente cercare - per quanto possibile - di conciliare l'esigenza sanitaria con quella economia. Un trend che ha subito raccolto pure Roberto Speranza, da sempre paladino della linea del rigore. Da martedì sera, infatti, il ministro della Salute ha deciso di ammorbidire di molto le sue posizioni, decisione dettata in parte dall'essere - politicamente parlando - sotto assedio. Ma anche dalla linea presa a Palazzo Chigi. Che proprio martedì ha dato il via libera per riaprire, almeno al 25% della capienza, lo stadio Olimpico di Roma per le quattro partite di Euro2020 in programma a partire dall'11 giugno. Decisione che, di fatto, Speranza ha sostanzialmente subìto.
Non è un caso, dunque, che ieri il ministro per il Turismo, Massimo Garavaglia, abbia detto di vedere il titolare della Salute «molto meno arcigno». Di certo, infatti, c'è che Speranza non ha saputo modulare la sua comunicazione, preoccupandosi solo delle ragioni della salute - ovviamente imprescindibili - ma senza mai concedere neppure una legittimità agli argomenti di chi invocava allentamenti alle restrizioni. Anche per questo - e non solo per il martellamento continuo di Matteo Salvini - l'esponente di Leu è diventato il bersaglio preferito delle piazze. Senza contare gli errori, nella fase iniziale della pandemia e nel piano vaccinale. Per non parlare dell'ormai celebre libro, un incredibile autogol che ha lasciato basito anche chi con Draghi ha perorato con insistenza la sua causa per la riconferma al dicastero della Salute. Che l'ex governatore della Bce ha accettato suo malgrado, ma facendogli terra bruciata intorno (dal Commissario straordinario all'emergenza al Comitato tecnico scientifico).
La percezione del nuovo corso, intanto, si è respirata anche in alcuni passaggi della Conferenza Stato-Regioni di ieri, nonostante in agenda ci fosse il Pnrr. E proprio oggi le Regioni dovrebbero presentare al governo le linee guide per le riaperture in sicurezza. Il percorso verso «l'uscita dall'incubo», per usare le parole del ministro per gli Affari regionali, Mariastella Gelmini.
Domani, invece, dovrebbe tenersi a Palazzo Chigi la cabina di regia sulle riaperture, nella quale non è escluso che si possa decidere di allentare le misure che prevedono l'Italia divisa in zone rosse e arancioni fino al 30 aprile. Magari anticipando il ripristino delle tanto agognate zone gialle. Decisione, questa, che non dipende solo dalla volontà politica, ma che resta comunque legata ai numeri della pandemia.
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