Mario Draghi scende in campo e getta tutto il suo prestigio nel dibattito sulla crisi da coronavirus: una recessione è inevitabile, dice, ma siamo come in guerra e bisogna adottare misure conseguenti. L'ex presidente della Bce interviene con un editoriale pubblicato oggi dal Financial Times: «La perdita di reddito del settore privato deve essere assorbita, totalmente o in parte, dai bilanci pubblici. Debiti pubblici più alti diventeranno una caratteristica delle nostre economie e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato». In passato, scrive Draghi, «gli Stati hanno già fatto così» in occasione di altre emergenze. Le guerre, ad esempio, osserva l'ex governatore della Banca d'Italia, «sono state finanziate da un aumento del debito pubblico». La priorità, aggiunge, «non deve essere soltanto fornire un reddito base a coloro che hanno perso il proprio lavoro. Innanzitutto dobbiamo evitare che le persone lo perdano. Se non lo faremo usciremo da questa crisi con un tasso e una capacità produttiva permanentemente più bassi».
L'intervento è arrivato al termine di una giornata in cui il presidente del consiglio europeo, Charles Michel, si è visto recapitare una lunga e articolata lettera, a firma del premier Giuseppe Conte e dei leader di Spagna, Francia, Portogallo, Slovenia, Grecia, Irlanda, Belgio e Lussemburgo con la richiesta dei cosiddetti coronabond. La missiva è arrivata alla vigilia del vertice dei capi di Stato e di governo che, per usare un eufemismo, si preannuncia complicato. Incontro previsto in teleconferenza, come Covid-19 comanda. Ma anche a distanza e separati da un monitor, gli stracci possono volare ugualmente. Il rischio di un colossale fallimento e di una frattura insanabile nell'Europa (dis)unita è nell'aria dopo la spaccatura, nettissima nell'Eurogruppo di martedì scorso.
La lettera è servita a chiarire ancor di più gli schieramenti in campo. Non c'è solo il Club Med a chiedere «risorse senza precedenti», ma un fronte allargato e inedito che prova fino all'ultimo a convincere Paesi come Germania, Olanda e Austria, fedeli all'ortodossia del rigore e verosimilmente già scioccati dal congelamento del Patto di stabilità, a rompere con le regole dei trattati e a dare, finalmente, una risposta. Rivoluzionaria. Perfino Christine Lagarde sembra essere scesa dalle barricate ordoliberiste. La Reuters ha rivelato che la presidente della Bce, appena reduce dallo scivolone sugli spread, avrebbe suggerito ai ministri delle Finanze di osare: «Lanciamo i bond europei». Una tantum, ça va sans dire. Non sia mai che passi il concetto di mutualizzare i debiti, così urticante per Berlino e Paesi nordici. Che, pare, abbiano subito storto il naso di fronte alla proposta, nonostante la presidente della Bce sia rimasta aggrappata con le unghie allo scoglio delle misure previste dai Trattati: «Dovremmo pensarci seriamente (di emettere i bond, ndr), accanto all'uso degli strumenti del Meccanismo europeo di stabilità». Una sorta di riflesso pavloviano in base al quale il Mes, con le forche caudine fatte di condizionalità, resta sempre in piedi. Anche se non è ben chiaro il cortocircuito logico in base al quale, una volta scelta la strada del collocamento dei coronabond, ci sarebbe ancora bisogno di togliere le ragnatele dal fondo salva-Stati.
O il controvalore delle obbligazioni sarebbe di entità così modesta da rendere necessario affiancare anche il Mes, ma allora non avrebbe molto senso ricorrere ai bond; oppure, il Mes va comunque usato perché l'intento è quello di commissariare i Paesi fiscalmente più deboli.
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