Un'esplosione. Poi un'altra. Spari. Morti, tanti: almeno sessanta, ci sono bambini, e dodici americani. Feriti, tantissimi: oltre 140, destinati a salire. L'attentato più atteso, più temuto della storia del terrorismo internazionale è avvenuto. Esattamente dove si temeva: all'aeroporto di Kabul, palcoscenico dove da una dozzina di giorni va in scena il dramma di un popolo che, temendo di non avere un futuro, mette in gioco il proprio presente. La capitale afghana è una polveriera, fino a tarda sera, quando altre esplosioni rompono il buio.
Sono le 18,14 ore locali, da noi sono le 15,44. È l'ora dell'appuntamento con l'orrore. Un kamikaze piomba sull'Abbey Gate, la porta di accesso più trafficata dello scalo. L'aria ancora trema quando alle 16,28 italiane una seconda esplosione a poche centinaia di metri dalla prima, provocata da un'autobomba davanti all'hotel Baron, dove sono ospitati molti occidentali in attesa di lasciare l'Afghanistan.
È l'inferno. Il destino distribuisce le carte, si conta chi è morto, chi è ferito, chi è scampato. Nel frattempo si cerca di capire chi è stato ad agire e perché. Per la prima risposta non ci vuole molto: l'attribuzione, poi diventata rivendicazione, è di Isis-K, l'Isis-Khorasan, il gruppo affiliato allo Stato Islamico che prende il nome dalla regione storica più orientale dell'impero persiano. Chi e cosa volessero colpire è presto detto: tutti, a qualunque costo. E cioè gli afghani che se la fanno con gli occidentali, povera gente che però merita il loro odio cieco; poi gli occidentali stessi e soprattutto gli americani; e ancora gli stessi talebani, che l'Isis-k considera quasi non musulmani, degli apostati. Non a caso nella rivendicazione i seguaci dello Stato islamico accusano i talebani di essere «in alleanza» con i militari americani per evacuare «le spie» e si vantano di come il loro kamikaze, Abdul Rahman al-Logari, di cui diffondono la foto, sia riuscito ad arrivare a cinque metri dalle forze americane. I mullah subiscono il primo scacco dalla riconquista dell'Afghanistan: dimostrano di non essere (ancora) in grado di garantire la sicurezza del Paese e di correre il rischio che l'Afghanistan torni la nuova piattaforma del braccio armato dell'Isis.
Ma queste sono analisi. Per terra ci sono le vittime. «Il canale è diventato color sangue, le madri cercano i figli», racconta singhiozzando una ragazza rimasta fuori dal gate per un soffio. All'inizio si parla di tredici vittime, in serata si arriva a 60 morti, poi 90 secondo il ministero della Salute afghano, e 150 feriti, molti in gravi condizioni. Alle 20 afghane, le 17,30 da noi, l'aeroporto viene chiuso. Le operazioni di evacuazione di militari e civili, già portate avanti con il fiato in gola, subiscono uno stop, anche se «la nostra priorità rimane quella di evacuare il maggior numero di persone in fretta», twitta il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Nel frattempo morti e feriti vengono trasportati con ogni mezzo (ambulanze, taxi, auto private, carriole, braccia) dovunque. I feriti per essere soccorsi, i morti per essere contati. L'ospedale di Emergency accoglie sessanta feriti, sei muoiono per strada. Tra le vittime c'è di tutto, la gran parte sono civili, numerosi i bambini. Italiani no, lavorano in una zona dell'aeroporto lontana dai due attentati. Ma ci sono soldati americani: si parla di undici marines e di un medico uccisi e di numerosi feriti, lo riferisce un funzionario del Pentagono. Per gli americani anche il sale sulle fresche ferite versato a piene mani dai talebani: «L'Emirato Islamico - si legge in una nota del portavoce Zabihullah Mujahid - condanna fermamente l'attentato esplosivo contro i civili all'aeroporto di Kabul, avvenuto in una zona in cui le forze statunitensi sono responsabili della sicurezza». Oltre il danno, la beffa della colpa. Ma ce n'è anche per i talebani, un loro mezzo in tarda serata viene colpito da un terzo ordigno a sette chilometri dall'aeroporto. E poi, appena poche ore dopo la strage, almeno altre sei-sette esplosioni si sentono a Kabul. I talebani parlano di deflagrazioni controllate effettuate dalle forze statunitensi per distruggere le loro attrezzature. Altre fonti sostengono che le munizioni siano di soldati del governo afghano che non si sono arresi ai talebani e hanno fatto saltare in aria le loro scorte.
Sono ore raccapriccianti che danno inizio a giorni forse peggiori. Kabul pullula di membri dell'Isis-K, in centinaia si aggirerebbero attorno all'aeroporto, pronti a colpire ancora nei giorni dell'addio degli stranieri, perché la deadline del 31 agosto resta là e l'orologio della storia ticchetta sempre più forte. Mille americani, fa sapere il Dipartimento di Stato Usa, sono ancora nel Paese. Boris Johnson annuncia la ripresa degli imbarchi. Anche l'Italia intende proseguire con l'operazione Aquila.
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