Dal Cremlino si sono affrettati a precisare che il consiglio di sicurezza convocato ieri a Mosca non era una «emergency room» bensì un appuntamento in agenda da giorni, un vertice rituale che si svolge ogni settimana o quasi, visto che l'ultimo si era celebrato il 21 aprile. Epperò è impossibile non dare un significato particolare all'incontro presieduto dallo Zar Vladimir Putin e che ha visto confrontarsi i membri permanente del consiglio, che potremmo definire come l'organo di indirizzo politico della guerra d'aggressione all'Ucraina. Ne fanno parte infatti il premier Mikhail Mishustin, la presidente del Consiglio della Federazione Valentina Matviyenko, il presidente della Duma Vyacheslav Volodin, il segretario dello stesso consiglio di sicurezza Nikolay Patrushev e il suo vice Dmitry Medvedev, i ministri degli Esteri Sergei Lavrov, degli Interni Vladimir Kolokoltsev e della Difesa Sergei Shoigu, il direttore dell'Fsb, i servizi segreti moscoviti, Alexander Bortnikov e quello dell'Srv (i servizi esteri) Sergey Naryshkin e il capo di gabinetto del Cremlino Anton Vaino.
I vertici dei vertici, tutti insieme appassionatamente a discutere di una guerra che non sta andando come al Cremlino speravano: la grande offensiva che dovrebbe dare la spallata decisiva al governo di Kiev appare lontana, lontanissima. La controffensiva ucraina appare invece vicina, vicinissima, anche se di incerto esito. Le scorte di armi si stanno esaurendo, l'esercito è demotivato, la logistica bellica ingolfata. E poi c'è l'onta del drone sganciato mercoledì da Kiev sul Cremlino, che ha manifestato plasticamente la vulnerabilità del cuore del potere putiniano e ha spinto ieri Lavrov a parlare di «attacco terroristico» in seguito al quale «qualsiasi Paese che si rispetti si dovrebbe astenere dal parlare con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky».
Sotto la propaganda niente. O comunque molto poco. Per galvanizzare le depresse truppe che combattono una guerra che in molti casi non sentono loro, ieri il ministro Shoigu ha visitato il fronte meridionale e, fa sapere un comunicato, «ha ispezionato la prontezza delle attrezzature militari e delle armi inviate alle unità delle forze armate russe» e ha chiesto a uno dei suoi vice, Alexey Kuzmenkov, di «tenere sotto controllo speciale le questioni riguardanti la fornitura continua e regolare» di «tutte le armi e l'equipaggiamento militare necessari». Resta l'impressione che a Mosca l'attacco al Cremlino abbia segnato l'inizio di una nuova fase della guerra, fatta di angoscia e grattacapi. Non è un caso che in molte città russe e della Crimea, ventuno fino a ieri, sono state cancellate senza apparente motivo le parate previste il 9 maggio, Giorno della Vittoria. Parola questa, vittoria, che si preferisce non usare nella Russia di oggi.
E mentre ieri le autorità di Mosca hanno disposto l'evacuazione della località di Energodar, vicino a Zaporizhzhia, dove si trova la centrale nucleare più grande d'Europa in vista della probabile controffensiva ucraina, ieri si è celebrato anche il giallo del Patriot. In mattinata il sito ucraino Defense Express aveva dato notizia del primo abbattimento di un missile balistico ipersonico russo Kynzhal sui cieli di Kiev da parte del sistema missilistico americano Patriot, postando anche una foto di detriti caduti sullo stadio della capitale.
Notizia smentita poche ore da Yuri Ignat, portavoce del comando dell'aeronautica delle forze armate ucraine: «C'era una possibilità di utilizzo, ma non sono stati registrati missili balistici». Insomma, se non ieri sarà alla prima occasione. L'appuntamento è solo rinviato.
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