La sparatoria nel X arrondissement di Parigi cela un non detto, qualcosa che affonda le radici tanto nella vita del 69enne armato di pistola - bollato da verdi e sinistra come estremista di destra, ma non schedato dai Servizi come tale - quanto nel centro culturale curdo «Ahmet Kaya», che negli anni ha vissuto un'esistenza turbolenta. Nella notte tra il 9 e il 10 gennaio 2013, all'interno dell'Istituto curdo attiguo al centro culturale, tre attivisti, tra cui uno dei padri del PKK, furono uccisi a freddo, potenzialmente dai Servizi turchi. Stavolta sembra improbabile che l'omicidio sia opera dell'intelligence di Ankara. Ma nulla viene escluso. Il governo di Parigi minimizza. Non parla di terrorismo. Scansa l'argomento più scomodo. Ma non è il solo in campo. Mentre il ministro Darmanin finiva di parlare, ieri pomeriggio, nella Rue d'Enghien scoppiava il caos alle sue spalle. Scene da banlieue. Impalcature divelte, assi di metallo usate come clave da stranieri. Sassi. Auto bruciate. E l'immancabile bandiera rossa con falce e martello. In dieci minuti, la strada si trasforma in una trincea urbana. Nel quartiere curdo non si sono infatti radunati solo i membri della comunità per gridare rabbia e dolore: «Ci risiamo, non ci state proteggendo abbastanza, veniamo uccisi», grida una giovane rifugiata, con dietro i cori contro la Turchia. Militanza e violenza si mescolano nella più classica delle proteste dei quartieri difficili, dove vivono decine di comunità straniere irregolari che alla prima occasione abbracciano la causa altrui purché si faccia casino contro lo Stato. La polizia in tenuta antisommossa risponde con i lacrimogeni. La marea umana contrattacca sradicando luminarie di Natale; paletti di ferro, fiamme sulla strada. La tensione cresce. La marea si allarga alle strade vicine, mentre sulle divise in tenuta antisommossa piove di tutto: 11 poliziotti feriti.
Oltre ai militanti curdi arrivano facinorosi, un migliaio. La massa lancia fumogeni. Parigi è fuori controllo. Nel caos, tutto si confonde. L'inazione dello Stato, la tolleranza, sono un paradiso finché un fatto di sangue non riaccende la rabbia che a Parigi cova in molte comunità di stranieri quanto in frange estreme della destra ultrà. Europol, nel 2021, in un report sul terrorismo di estrema destra documentava come la metà dei dossier Ue interessino la Francia. Nella partita Francia-Marocco, estremisti di destra sono stati fermati. E Marine Le Pen ha chiesto al governo di perseguire questi gruppuscoli che inquinano i pozzi e la società, finendo per far condannare leader e partiti, anziché il sottobosco malsano. Che si tratti o meno di attacco di matrice razzista il governo sfoggia cautela. Si smarca, cercando di scansare le polemiche sulla sicurezza in città. Razzismo o terrorismo? Il dilemma irrisolto svela anche le difficoltà di Macron di prendere posizione su temi che incrociano politica e società. Il suo essere «né di destra né di sinistra» nel 2017 è stato adattato al dossier immigrazione nel 2022, parlando di «accoglienza e fermezza» per lo sbarco della Ocean Viking, facendo impazzire i francesi che non capivano che sorte avrebbero avuto i profughi in fuga dalla «zona di transito internazionale»; un non luogo creato per far credere che chi era a bordo della nave Ong non sarebbe andato a zonzo nella République. È successo il contrario. Ma rispetto al dramma sopraggiunto ieri nella Ville Lumière, l'esecutivo mostra soprattutto difficoltà nel gestire l'ordine pubblico, in zone in cui in poche centinaia di metri il paesaggio cambia improvvisamente, e se si sbaglia la fermata della metro si rischiano brutte soprese. Mancata integrazione. Quartieri ghetto.
Aree «gestite» da malfattori, sicurezza lasciata al caso. C'è da capire cosa sia davvero accaduto dove ha sede il centro culturale curdo «Ahmet Kaya». Due poliziotti, secondo testimoni curdi, erano lì dalla mattina, senza mandato...
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