Il governo combatte su più fronti. Da un lato deve far fronte alle battaglie tutte interne alla maggioranza tra M5s e Lega (ultimo caso il dl Fisco), dall'altro deve difendersi dai continui attacchi da Bruxelles per una manovra che piace poco all'Europa e anche ai mercati. Ma in questa "guerra" sulla manovra il fattore "pensioni" ha un peso importante. La riforma previdenziale infatti tocca diversi fronti: il primo è quello di quota 100 con l'addio alla Fornero, il secondo, il più spinoso, è quello che riguarda la sforbiciata delle pensioni d'oro. Se sulla Quota 100 il governo ha trovato comunque una quadra (via a febbraio con un costo di 7 miliardi di euro in manovra), sui tagli agli assegni manca ancora l'accordo. L'intesa su come far digerire un taglio deliberato sulle pensioni alla Consulta ancora non c'è. E le parole del sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, sono illuminanti sulla vicenda: "Al momento non c’è ancora l’intesa, stiamo lavorando con il M5S per trovare la soluzione migliore tra perequazione e contributo di solidarietà".
Due strade dunque: il blocco della perequazione o una tantum con un contributo di solidarietà. Lo stop alle rivalutazioni è una delle idee messe sul campo negli ultimi giorni dall'esecutivo. Lo stop alle rivalutazioni entrerebbe in vigore dal 1°gennaio 2019. Di Maio infatti ha parlato più volte di un "congelamento" degli assegni alti. E dietro questo "raffreddamento" ci sarebbe dunque uno stop all'adeguamento al costo della vita. Poi resta sempre sul tavolo l'idea di un contributo di solidarietà. Una strada già battuta dal governo Letta che è stata giudicata legittima dalla Corte Costituzionale. Secondo la finanziara Letta, il contributo andava a toccare le pensioni che andavano oltre i 91mila euro lordi l'anno con un percorso progressivo. Una misura questa, come ricoda pensionioggi, di natura temporanea per il periodo 2014-2016.
Questo sistema potrebbe essere quello più gradito al governo perché ha già avuto il semaforo verde in passato dalla Corte Costituzionale. La terza arma che può usare il governo è quella inserita già nel disegno di legge D'Uva-Molinari, depositato in Commissione Lavoro alla Camera. Di fatto il disegno di legge prevede un taglio degli assegni, sempre sopra quota 4500 euro, con un taglio basato sull'età di pensionamento. Chi è andato via in anticipo verrebbe penalizzato in modo conistente pur avendo rispettato i limiti fissati dalle normative in vigore nel momento in cui ha lasciato il lavoro. Per ogni anno di anticipo sulla soglia di età attualmente fissata ci sarebbe una sforbiciata sull'assegno.
Questa è forse la soluzione meno percorribile dato che sarebbe retroattiva, definitva e con fortissimi rischi di incostuzionalità. Insomma il governo deve ancora trovare la quadra per dare il via ai tagli. Ma lo scoglio della Consulta e i ricorsi che potrebbero partire sono un'incognita pesante sulle cesoie dell'esecutivo...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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