Doveva essere una passeggiata, si è trasformata in una corrida: sulle audizioni per i vicepresidenti della Commissione europea, che iniziano oggi a Bruxelles con Raffaele Fitto, si è aperto lo scontro tra famiglie politiche e dentro le medesime.
E il Pd si ritrova, volente o nolente, nell'occhio del ciclone: il gruppo socialista di cui fa parte si è spaccato tra chi (spagnoli in testa) vuol chiudere un occhio sull'appartenenza politica di Fitto a Ecr e dargli via libera per ottenere in cambio la nomina della sua vicepresidente, la socialista spagnola Teresa Ribera, e chi, francesi in prima linea, tuona che la destra meloniana non deve passare. Con i dem sballottati di qui e di là, che ieri (dopo una riunione a porte chiuse della loro delegazione al Parlamento europeo) hanno assicurato che «ascolteremo senza pregiudizi» il commissario designato prima di esprimere la propria posizione. In realtà, gli italiani attendono di capire che linea prevale dentro il loro gruppo S&D, ma avvertono: «Definire 'fascista' un democristiano come Fitto, come sembra fare qualcuno nel Pse, è del tutto sbagliato». Però c'è il problema della vicepresidenza: Ecr, il gruppo di Fitto, non è in maggioranza, quindi non gli spetterebbe. Il gruppo socialista, al termine di una lunga riunione ieri sera, rinvia la palla a Ursula von der Leyen: «Il problema non è Fitto nè l'Italia: è la scelta politica di inserire Ecr nella maggioranza». Ergo, tocca von der Leyen chiarire.
A Elly Schlein non dispiacerebbe per nulla far incassare uno smacco alla premier Giorgia Meloni. Ma gran parte del suo partito, riformisti in testa (che a Bruxelles sono componente nutrita della delegazione) si è già espresso a favore del via libera al candidato italiano. Lo stesso capo delegazione, Nicola Zingaretti, ha aperto alla nomina del ministro meloniano: «Ci siamo sempre augurati che l'Italia abbia il giusto peso che merita un paese fondatore: su questo non abbiamo cambiato idea e non la cambieremo». Il votatissimo ex sindaco di Bari Antonio Decaro, pugliese come Fitto, ha lodato il conterraneo: «È la scelta migliore che questo governo potesse fare, ha una lunga esperienza europeista e non ha certo il profilo di un sovranista». Dietro le quinte, il commissario italiano uscente, l'ex premier dem Paolo Gentiloni, insiste da mesi perchè il suo partito metta al primo posto «l'interesse nazionale» ad avere un ruolo forte nella Commissione, e quindi a dare via libera al candidato. La segretaria Pd teme dunque il contraccolpo di un esplicito pollice verso a Fitto, con le accuse di lavorare contro il proprio paese e il ruolo dell'Italia nell'Unione che le pioverebbero addosso.
Nella riunione Pd di ieri solo poche voci hanno chiesto il «no» a Fitto: Sandro Ruotolo secondo il quale «non possiamo fare favori al nostro governo della destra sovranista»; Marco Tarquinio («Che la politica non sa neanche dove stia di casa», chiosa sarcastico un partecipante al summit), Brando Benifei, in rotta di avvicinamento a Schlein. Per il resto «reggiamo sulla linea Zingaretti», assicurano i più. Ma contro la vicepresidenza a Fitto sono schierati tutti gli alleati di Schlein nel «campo largo», da M5s a Avs: un problema in più per la segretaria del principale partito di opposizione.
In realtà oggi agli eurodeputati dem non toccherà esprimere alcun voto: al termine dell'audizione mattutina di Fitto, cui parteciperanno con le proprie domande, saranno i coordinatori dei gruppi europei (tra cui nessun Pd) nella Commissione Regi a emettere il proprio verdetto. Se il candidato non raggiungesse i due terzi dei consensi, si andrebbe a un esame supplementare. «Se Fitto non passa al primo, passerà al secondo giro», assicura un big dem.
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