Eccolo, il sentiero stretto di Mario Draghi e degli altri leader della Ue: sanzionare Putin mentre gli si chiede di riaprire i porti e far partire il grano, ottenere un gesto di «buona volontà» proprio mentre si colpisce la sua economia. Mission impossible, roba da duri, ma se si vuole evitare una catastrofe alimentare bisogna almeno tentare. Dunque a Bruxelles oggi e domani il Consiglio europeo cercherà una soluzione. Speranze? Insomma. «Faremo di tutto», dicono a Palazzo Chigi, «siamo fiduciosi». Quanto al viaggio a Mosca di Matteo Salvini, solo un infastidito silenzio.
Quella di Bruxelles è la prima tappa del tour de force diplomatico del premier. Draghi racconterà ai partner i dettagli della sua mediazione sulle esportazioni dei cereali ucraini. La telefonata a Putin, il colloquio il giorno dopo con Zelensky, il tentativo di sbloccare i 22 milioni di tonnellate ferme nei silos ad Odessa. La crisi del grano colpisce soprattutto i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente e porta con sé lo spettro di un'ondata di immigrazione fuori controllo.
Con grande fatica, il presidente del Consiglio è riuscito ad ottenere la disponibilità di Mosca e Kiev quanto meno «a studiare un percorso comune» per creare un corridoio e far salpare i portacontainer dal Mar Nero. E concessioni simili dal Cremlino le hanno strappate, sulla carta, pure Macron e Scholz. L'idea sulla quale si lavora è di una missione navale europea per recuperare grano e mais e scortarlo fuori dalla zona di guerra. Molte però le resistenze. Zelensky ad esempio non si convince a sminare i porti, ha paura di aprire la strada alle truppe da sbarco russe. E Putin chiede in cambio di fermare l'invio di armi all'Ucraina e di ritirare le sanzioni economiche.
Il problema è che proprio il sesto pacchetto di sanzioni e gli aiuti militari sono nell'agenda del vertice della Ue. Dopo il lavoro preparatorio degli sherpa, le parole armi e tregua restano fuori dalla bozza che verrà esaminata dai leader. «L'Unione Europea - si legge - rimane impegnata a continuare a rafforzare la capacità dell'Ucraina nella difesa della integrità e della sovranità territoriale». È previsto pure il ricorso al fondo per la pace per aumentare il sostegno militare, come anche la confisca definitiva dei beni degli oligarchi già congelati.
Non c'è accordo invece sull'energia. L'embargo al petrolio russo, sul quale si ragiona da settimane, non passerà per il veto ungherese. Lo stop riguarderà solo le importazioni via mare, mentre il greggio proveniente dai tubi del condotto Druzhba continuerà a scorrere. E si pensa a un tetto prezzo del gas e dei carburanti, come proposto dall'Italia già da un mese.
La questione energetica infatti preoccupa non poco Palazzo Chigi. L'Algeria, il Congo, l'Angola, il Mozambico, l'Azerbaijan, il Qatar: Draghi sta girando il mondo alla ricerca di fonti alternative per ridurre la dipendenza da Mosca. In questo quadro si inserisce la visita del 13 e 14 giugno a Gerusalemme, con l'incontro con il capo del governo Naftali Bennett e il presidente Isaac Herzog. Israele è uno dei pochi Paesi occidentali ad aver mantenuto un buon rapporto con il Cremlino e in grado, in futuro, di mediare. Per non parlare del gasdotto Eastmed, un progetto per collegare i giacimenti israeliani e ciprioti all'Europa attraverso la Puglia. Un altro passo verso l'autosufficienza energetica dalla Russia.
Il giugno diplomatico di Draghi prosegue con il G7 tra il 26 e il 28 giugno sulle Alpi bavaresi, il summit della Nato di Madrid in cui si affronteranno le richieste di adesione di Finlandia e Svezia e forse con un faccia a faccia ad Ankara il 5 luglio con Erdogan, un altro che con Putin sa farsi sentire.
Senza trascurare il fronte interno, dal viaggio a Mosca di Salvini alla voglia di Conte di contarsi sulle armi a Kiev. Faccende che al momento non sembrano infastidire il premier: c'è davvero qualcuno che ha la forza e la voglia di provocare una crisi adesso?
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