Il tempo che stringe. La consapevolezza di un impegno che sarà arduo. E l'accerchiamento tra due urgenze ineluttabili: quella di trovare il giusto punto di caduta per una squadra di governo che sia di livello e l'emergenza energetica. Di tutto questo, barricata anche ieri nei suoi uffici di Montecitorio, si sta occupando ormai da giorni Giorgia Meloni.
Sul primo fronte, si è iniziato a registrare qualche scossone, con Matteo Salvini che è tornato alla carica sul Viminale, facendo filtrare una lunga richiesta di ministeri per la Lega. Sul secondo, invece, la leader di Fdi continua a muoversi in coordinamento stretto con il governo in carica. Sente Mario Draghi, incontra nuovamente il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani e studia un intervento da 20 miliardi come primo provvedimento contro il caro-bollette. Sullo sfondo, però, resta la frenata di Bruxelles sul price cap. Questione delicatissima e che quasi certamente non troverà soluzione né domani al Consiglio Ue informale di Praga, né fra due settimane a Bruxelles. E che, vista la scelta della Germania di muoversi in autonomia, sposta necessariamente l'attenzione dell'Italia su Parigi. La Francia, infatti, al netto delle differenze del caso in materia di conti pubblici e debito, ha comunque un approccio molto vicino al nostro. Inevitabile, quindi, non coordinarsi. Un po' un paradosso per Meloni che, non è un mistero, con Parigi ha sempre avuto un'intesa piuttosto difficile. Invece, quando fra qualche settimana siederà a Palazzo Chigi, la leader di Fdi sarà necessariamente costretta a fare di Emmanuel Macron uno dei suoi principali interlocutori sul fronte energetico. Prospettiva che non stupisce più di tanto chi la conosce bene, perché «Giorgia ha le sue convinzioni ma non è certo ideologica».
Non solo. Meloni dovrà anche interfacciarsi costantemente con Paolo Gentiloni, commissario agli Affari economici dell'Ue, uno degli uomini forti di Bruxelles, da sempre in rapporti stretti sia con Berlino (soprattutto quando c'era Angela Merkel) che con Parigi. Dove, dicono i rumors, Meloni potrebbe andare in visita di Stato come premier già nei prossimi mesi.
D'altra parte, l'agenda diplomatica del futuro premier è una delle questioni all'attenzione delle diplomazie internazionali. E al netto del G20 di Bali a metà novembre, una delle ipotesi è che tra i primi appuntamenti possano esserci non solo Londra, ma anche Varsavia e Kiev. Nella capitale ucraina è stata invitata da Volodymyr Zelensky ed è intenzione del premier in pectore andarci presto. Per consolidare la sua posizione filo-atlantica, tema su cui anche ieri è tornata con il presidente ucraino nel corso di una lunga conversazione telefonica. Ma a Kiev, per ragioni di sicurezza, si può arrivare solo via terra dalla Polonia, come già accaduto a Draghi in occasione della visita con Macron e Olaf Scholz. Ed è per questo che Meloni sta ragionando su un passaggio a Varsavia, con un faccia a faccia con il primo ministro Mateusz Morawiecki. Che, d'altra parte, ha un ruolo di primo piano nei Conservatori e riformisti europei, partito di cui Meloni è presidente. La tentazione, forte, è dunque quella di inserire la Polonia tra le prime tappe da neo-premier. Con la consapevolezza che una scelta simile sarebbe letta anche in chiave anti-tedesca e filo-americana. Ma su Berlino la leader di Fdi non pare intenzionata a tenere un basso profilo.
Tanto che ieri non ha esitato a puntare il dito contro «le azioni di singoli Stati tese a sfruttare i propri punti di forza rischiando di creare distorsioni nel mercato europeo». Per dirla con le parole che Meloni ha usato con un suo interlocutore nei giorni scorsi, «se Orban si fosse mosso come Berlino cosa sarebbe successo?».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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