Sindacalisti o estorsori? O, peggio ancora, pedine dei mafiosi? «C'è un'emergenza salariale che va posta con forza», dice il leader Cgil Maurizio Landini, convinto che lo sciopero del 29 novembre servirà a convincere l'esecutivo che è sulla strada sbagliata. «Nei 25 mesi di vita del governo sono stati proclamati 518 scioperi, di cui 374 realmente effettuati, una media di 15 scioperi al mese. È la media più alta degli ultimi sette governi, con Matteo Renzi erano la metà, fose i sindacati erano distratti...», replica Matteo Salvini. «Vedo crescere un tentativo di delegittimarci che non va bene, quando si arriva alla diffamazione c'è un limite alla decenza», è la controreplica del segretario confederale, secondo cui il problema non sono gli scioperi ma «creare le condizioni perché non avvengano, garantendo condizioni di lavoro adeguate».
Ma qual è il limite tra protesta legittima ed estorsione contro i padroni? Se l'è chiesto uno studio legale (guidato da Eugenio Losco, Mauro Straini e Gianluca Castagnino) che dal 2016 si è specializzato nei procedimenti contro lavoratori e sindacalisti del settore della logistica, magazzinaggio e trasporto merci, indagati o imputati per scioperi e proteste. Per le loro condotte sindacali border line ce ne sono trecento alla sbarra nei tribunali di Milano, Piacenza, Bologna, Alessandria, Pavia, Brescia, Novara, Mantova, Cremona e Bergamo. La stragrande maggioranza è stata assolta ma l'attività sindacale ha avuto ripercussioni.
Se a Milano il tribunale ha deciso di non perseguire chi con i picchetti aveva bloccato due poli logistici cruciali per la conservazione e lo smistamento dei prodotti freschi e deperibili pur di evitare «la repressione della libertà sindacale e del diritto di sciopero», altrove si sono registrati episodi più gravi. A Piacenza, nell'autunno del 2023, per scongiurare la chiusura di un magazzino di una nota multinazionale del faidate alcuni lavoratori avevano complicato il lavoro dei colleghi, minacciandoli e prendendo robe dagli scaffali. Per la Procura è «violenza privata e sabotaggio». Sempre a Piacenza due sigle sindacali autonome sono accusate di «associazione a delinquere finalizzata a vari reati, tra cui violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata, interruzione di pubblico servizio, sabotaggio ed estorsione» perché avrebbero «coagulato un bacino di lavoratori di origine straniera, strumentalizzandoli per conquistare i magazzini». Come? Secondo i magistrati, qualsiasi problema era diventato pretesto di scontro con i datori di lavoro per affiliare nuovi iscritti, indottrinando così maestranze spesso straniere e costringendo le controparti a trattare con picchetti, blocco di mezzi e merci, sabotaggi.
Altrove alcuni sindacalisti sono invece accusati di aver procurato «un ingiusto profitto a non meglio identificate società cooperative. Quali? Sulle vertenze sindacali nella logistica lombarda da anni si sono allungati gli appetiti della 'ndrangheta, come hanno dimostrato alcune inchieste recenti. Attraverso dei prestanome alcune cooperative di comodo costituite dal nulla erano diventavate serbatoio di personale da sfruttare e «affittare» ai colossi del settore della logistica-trasporti («gestisco 40 furgoni a 200mila euro al mese», diceva al telefono un boss intercettato), grandi imprese e nuove multinazionali, quasi sempre ignare di avere la mafia tra gli scaffali, che poi non pagavano né imposte, né ritenute né contributi previdenziali o assicurativi. Tanto che la Ue pensa di rendere obbligatoria per le aziende sopra i 10mila dipendenti la due diligence sulle cosiddette catene di valore, insomma un monitoraggio sui fornitori contro subappalti o frodi.
Un allarme che aveva lanciato molto tempo fa il procuratore capo di Napoli, Nicola Gratteri: «Tutti i supermercati dell'hinterland milanese sono in mano alla 'ndrangheta, idem i locali di divertimento dove vanno i vip», la Dia ha ipotizzato interessi anche nel settore edile (movimento terra e guardianìa), servizi sanitari, ambulanze per malati gravi, noleggio auto e parcheggi,
con fatture false, frodi Iva e riciclaggio. Sembra di stare nell'America degli Anni Sessanta e Settanta. Ci sono davvero tanti Jummy Hoffa che in nome dei diritti dei lavoratori spalancano le porte delle aziende ai mafiosi?
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