"F-16 pronti per l'Ucraina". Poi missili Nato in Germania

Via libera alle difese aeree per Kiev, dal 2026 armi Usa a lungo raggio in territorio tedesco. Monito alla Cina: stop al sostegno a Mosca

"F-16 pronti per l'Ucraina". Poi missili Nato in Germania
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La prima giornata del Vertice Nato di Washington - sulle note di «You'll never walk alone», canzone di un musical del passato, ma anche da decenni inno del Liverpool - si era chiusa con l'annuncio da parte di Joe Biden dell'invio all'Ucraina «nei prossimi mesi» di «cinque ulteriori sistemi di difesa aerea strategica» e «decine di ulteriori sistemi di difesa aerea tattici» da parte degli Alleati. Tra i Paesi donatori, insieme a Usa, Germania, Olanda e Romania, l'Italia, che fornirà un secondo sistema Samp-T.

La seconda giornata si è aperta ed è proseguita con altri annunci importanti. Danimarca e Olanda, «con il sostegno degli Stati Uniti», stanno donando all'Ucraina F-16 di fabbricazione Usa, che saranno operativi «questa estate» e altri caccia giungeranno da Belgio e Norvegia. E ancora, Washington e Berlino hanno annunciato che dal 2026 gli Usa inizieranno a dispiegare in Germania i missili a lungo raggio della loro «Task Force Multi-Domain». Mentre arriva un avvertimento alla Cina: nel documento finale dovrebbe essere definita «un fattore determinante nella guerra russa in Ucraina a causa della partnership senza limiti e del suo sostegno in larga scala alla base industriale della difesa russa». Se all'annuncio dei nuovi sistemi di difesa aerea Volodymyr Zelensky, presente a Washington, aveva risposto, «grazie, ma non bastano», sui nuovi caccia è apparso soddisfatto: «Gli F-16 avvicinano una pace giusta e duratura», ha scritto sui social.

Ma parlando alla Ronald Reagan Foundation, ha poi aggiunto: «Ne servono 128, finché non li avremo, non saremo in grado di eguagliare la Russia nei cieli». La sensazione è che il leader ucraino cerchi di incassare da questo vertice il più possibile, consapevole che il voto Usa di novembre potrebbe portare alla Casa Bianca un'Amministrazione (e di conseguenza una Nato) assai meno generosa: «Tutti aspettano novembre, anche Putin. È tempo di uscire dall'ombra, di far funzionare le decisioni forti e di non aspettare», ha detto.

Del resto, l'insofferenza del grande convitato di pietra, Donald Trump, era emersa martedì sera in un comizio in Florida. «Come abbiamo permesso a Russia e Ucraina tutto questo?», aveva chiesto il tycoon, equiparando Mosca e Kiev e tornando a promettere una pace rapida in caso di elezione. Concetto articolato in altra forma sui social: l'Europa dovrebbe mandare a Kiev 100 miliardi di dollari per «pareggiare» quanto speso dagli Usa, il messaggio di Trump, slegato dai conteggi reali delle spese finora sostenute dai due blocchi.

Da Mosca, invece, l'ex delfino di Putin, Dmitry Medvedev, ipotizzava che un cambiamento di scenario negli Stati Uniti potrebbe indurre Kiev ad avviare i negoziati.

Timori, quelli di Zelensky, che sono stati diplomaticamente ignorati da Jens Stoltenberg, che prima della riunione dei leader a porte chiuse, si è detto fiducioso che, al di là del voto di novembre, «gli Usa rimarranno un forte e fedele alleato della Nato».

Il segretario generale della Nato uscente ha detto di aspettarsi da questo vertice «un pacchetto sostanziale» di aiuti all'Ucraina, compreso la creazione di «un comando dell'Alleanza per fornire assistenza in materia di formazione», un impegno a lungo termine sul sostegno militare, un immediato invio di nuovi sistemi di difesa e nuovi accordi bilaterali sul lungo termine.

Una conferma di quel percorso che non a caso è stato definito «irreversibile» per l'ingresso di Kiev nella Nato, che comparirà nella dichiarazione finale dei leader.

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