L'insolita «conferenza stampa» dell'ambasciatore russo in Italia Sergey Razov a Piazzale Clodio è l'ultima mossa della feluca venuta da Mosca. Razov, 69 anni, già ambasciatore in Mongolia, Polonia e Cina nonché vice-ministro degli Esteri prima di sbarcare, nel 2013, a Villa Abamelek, e diventare ambasciatore della Federazione russa in Italia e a San Marino, si era già fatto sentire sulla questione ucraina poco prima dell'invasione, a metà febbraio, ospite di Bruno Vespa a Porta a Porta.
Nell'occasione il diplomatico bollò le operazioni militari come «esercitazioni periodiche», e non come i prodromi dell'invasione, e sostenne addirittura che la Russia «non ha obiezioni» rispetto all'ipotesi dell'ingresso dell'Ucraina nella Ue. La realtà, poi, ha detto ben altro, come è noto. Ma Razov ha rilanciato la propaganda di Mosca, pure ieri ribadendo il succo delle dichiarazioni rilasciate dal direttore del Dipartimento europeo del ministero degli Esteri russo Paramonov a proposito, per esempio, della «ingratitudine» italiana sulla «mano d'aiuto» che la Russia aveva dato all'Italia durante la pandemia.
Il ruolo di Razov come normalizzatore e pompiere era già stato esercitato nella scorsa primavera, quando l'ambasciatore venne convocato alla Farnesina dal ministro degli Esteri Di Maio dopo che l'ufficiale di Marina Walter Biot, impiegato presso lo Stato maggiore della Difesa, venne beccato in flagranza mentre consegnava documenti riservati a un funzionario russo dell'ambasciata in cambio di denaro. Da Di Maio, la feluca fece spallucce: «Come ho sottolineato durante l'incontro con i vertici del ministero degli Esteri italiano spiegò alle telecamere Rai - contiamo che questo incidente non influisca negativamente sulle relazioni complessivamente costruttive tra i nostri Paesi. Bisogna avere uno sguardo più ampio, sono relazioni articolate che non possono assolutamente essere ridotte a singoli episodi spiacevoli».
Fedele alla linea di Putin anche e soprattutto in momenti difficili come questo, Razov è stato nel recente passato anche un abile tessitore politico per le relazioni italiane di Mosca. Un suo non-paper, in cui si sosteneva la strumentale creazione di una «minaccia russa» da parte della Nato, era stato recapitato a novembre scorso ai componenti della commissione Esteri di Palazzo Madama, per il tramite del presidente, il putiniano pentastellato Vito Petrocelli. Anche Matteo Salvini, quando il leader del Carroccio guardava con aperta simpatia alla Russia, aveva individuato nell'ambasciatore un interlocutore privilegiato per le trattative internazionali condotte da Giancarlo Giorgetti e Guglielmo Picchi, con due incontri a fine marzo 2018 e poi con la partecipazione dello stesso Salvini, il 7 giugno dello stesso anno, alla cerimonia per la «giornata della Russia» a villa Abamelek, presente anche Gianluca Savoini. Due anni prima, acclamato ospite e protagonista di quel ricevimento era stato un M5s, Alessandro Di Battista.
Già, perché pure Beppe Grillo e i suoi aprirono, nel 2015, un canale con Putin proprio grazie ai buoni uffici dell'ambasciatore russo. Successe quando, come racconta il giornalista della Stampa Jacopo Iacoboni, sono Manlio Di Stefano e appunto Di Battista ad accompagnare l'ex comico per incontrare Razov nella sua residenza romana, aprendo a una serie di missioni moscovite.
Sfociate in un atteggiamento del Movimento spesso più amichevole nei confronti di Putin. Un esempio? La scelta di astenersi, nel 2020, quando l'Europarlamento votò la richiesta di un'indagine internazionale sull'avvelenamento del dissidente Alexei Navalny.
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