La folle guerra alla cultura: stop al corso su Dostoevskij

Niente lezioni per Paolo Nori: "Evitiamo polemiche". Poi la Bicocca ci ripensa. Le recenti "censure" ai russi

La folle guerra alla cultura: stop al corso su Dostoevskij

È anche una guerra di nervi, e di comunicazione. E a volte i nervi saltano e la comunicazione non riesce.

È risultato dunque un gigantesco svarione quello dell'università Bicocca di Milano, che ieri ha deciso di sospendere un breve corso affidato a Paolo Nori, autore di un libro sulla «Incredibile vita di Fedor M. Dostoevskij». È stato lo stesso scrittore, provato e sconcertato, a renderlo noto. «Sono arrivato a casa - ha raccontato - e ho letto una mail della Bicocca». Era l'imbarazzato rinvio per «evitare ogni forma di polemica» in «un momento di forte tensione». Il maldestro rinvio ha suscitato invece una valanga di reazioni, che hanno indotto l'ateneo milanese alla rapida retromarcia. A metà mattinata l'Università ha confermato che «tale corso si terrà nei giorni stabiliti» e la rettrice ha fatto sapere di voler incontrare Nori «per un momento di riflessione». Ma la riflessione Nori l'ha già iniziata per conto suo: «Ancora non so se ci vado oppure no» ha risposto.

L'abbaglio dell'università ha riproposto il tema delle sanzioni «ad personam», anche perché nella grande ed efficace mobilitazione che ha voluto sanzionare le organizzazioni rappresentative dello Stato russo - per esempio quelle sportive, con l'esclusione del calcio dalle competizioni internazionali - qualcuno è andato fuori misura.

L'affaire Nori ha riacceso i riflettori sul doppio caso scoppiato alla Scala una settimana fa, quando il presidente del cda della Fondazione, il sindaco Beppe Sala, ha chiesto al maestro russo Valery Gergiev (vicino a Vladimir Putin, e per questo anche fischiato) una sorta di «ripudio» della guerra, come condizione per continuare a dirigere. «Nessuna abiura - ha precisato ieri Sala - gli è stata chiesta una presa di distanza dalla guerra. Lui ha ritenuto di non farlo» e «tutti grandi teatri d'opera con cui Gergiev stava collaborando hanno in questi giorni rinunciato alla sua presenza». «Stiamo sbagliando tutti?», ha chiesto il sindaco per giustificare il suo aut aut illiberale. Due giorni dopo la soprano russa Anna Netrebko, ha detto la sua: «Sono russa e amo la mia patria, ma ho molti parenti e amici in Ucraina e il dolore e la sofferenza che la popolazione pacifica sta provando è straziante - ha premesso - Voglio però aggiungere una cosa: costringere artisti e qualsiasi personaggio pubblico ad esprimere pubblicamente il proprio punto di vista politico e condannare la propria Patria è inaccettabile».

Difficile eccepire, anche perché le posizioni richieste o imposte si trasformano regolarmente in un boomerang. Non a caso ieri il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov ad Al Jazeera ha potuto agitare l'argomento della «russofobia». «La Russia era pronta a finire sotto le sanzioni occidentali - ha dichiarato candido - ma non si aspettava che misure punitive sarebbero arrivate a colpire atleti, media e mondo della cultura».

Mille volte più efficaci, le condanne della guerra spontanee e convinte. Come quella della direttrice del Meyerhold Center, il teatro statale di Mosca, Elena Kovalskaya, che si è dimessa perché «è impossibile lavorare per un assassino e riscuotere uno stipendio da lui». In tema musicale, è stato sicuramente più intonato il gesto del maestro russo Andrey Boreyko, che ha proposto l'inno ucraino all'Auditorium di Milano con la «Verdi».

E mentre l'ex nazionale ucraino Yaroslav Rakitskiy ha chiesto e ottenuto di lasciare lo Zenit San Pietroburgo - rescissione consensuale del contratto, ma era stato accusato di aver tradito - tanti grandi nomi dello sport russo hanno alzato la voce contro la guerra, dall'attaccante della Dinamo Mosca Fedor Smolov al campione di hockey Alex Ovechkin al ciclista Pavel Sivakov: «La maggior parte dei russi - ha scritto - vuole solo la pace».

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