E adesso cosa accadrà in Siria? I talebani siriani seguendo un copione simile a quello dei cugini di Kabul, con l'esercito governativo che si è sciolto come neve al sole, hanno conquistato Damasco. L'Emirato islamico si è complimentato per primo con i ribelli jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham, che si stanno presentando come «talebuoni» agli occhi del mondo e ai timorosi cristiani della Siria ridotti al lumicino. Stesso schema di Kabul ai tempi della Caporetto afghana della Nato, ma poi abbiamo visto tornare il Medioevo islamico.
Il leader Abu Mohammed al Jolani, ex di al Qaida, con 10 milioni di dollari di taglia Usa sulla testa, ha addirittura iniziato a usare il suo vero nome, Ahmed al-Sharaa e non quello di battaglia, troppo compromesso con il terrorismo jihadista. Per la transizione avrebbe mantenuto al suo posto il premier siriano, Mohammed Ghazi al-Jalali, ma è ovvio che si vede già come nuovo rais siriano. Il primo ministro è scortato, come un «prigioniero», da un reparto scelto dei ribelli. Oltre a scene di giubilo per la caduta del regime ci sono razzie e saccheggi. Difficile che i vincitori si trasformino in rispettosi democratici piuttosto che instaurare una specie di Califfato siriano come avevano sempre sognato in una dozzina d'anni di guerra civile.
L'unica certezza è che ci sono due vincitori, acerrimi rivali, il neo sultano Erdogan e il premier ebraico Netanyahu. La Turchia ha già fatto sapere che garantirà con i nuovi padroni di Damasco la sicurezza del Paese. E il presidente, padrino dei ribelli che hanno scalzato Assad, farà finalmente tornare in patria gran parte dei tre milioni di rifugiati siriani, che cominciavano a pesare troppo anche in termini elettorali. Il primo ministro israeliano ha cantato vittoria parlando di svolta storica: dopo 50 anni l'acerrimo nemico del regime familiare degli Assad non esiste più. E soprattutto si è interrotto il corridoio sciita, che dall'Iran via Irak e Siria arrivava fino al Libano rifornendo l'arsenale di Hezbollah. I caccia con la stella di Davide hanno bersagliato i Pasdaran e i suoi giannizzeri in Siria con centinaia di raid aprendo, di fatto, la strada all'offensiva lampo dei ribelli. Adesso, però, Bibi ha dovuto mandare rinforzi sul Golan occupando le posizioni abbandonate dall'esercito siriano per evitare di trovarsi di fronte le forze jihadiste. La strategia del caos e del «divide et impera» potrebbe rivelarsi, a lungo andare, un boomerang. La disgregazione della Siria è un pericolo concreto a cominciare dal Nord Est del Paese, in mano ai curdi, che vorrebbero trattare con i vincitori, ma sono attaccati dall'Esercito nazionale siriano. Una formazione alleata dell'Hayat Tahrir al-Sham, composta da turcomanni, armati e finanziati da Ankara, che la usano in funzione anti curda. Non solo: i ribelli hanno evitato, per ora, di avanzare nella roccaforte degli alawiti di Assad a Latakia dove si ci sono anche la base navale russa di Tartus e quella aerea di Hmeimim. Al momento in stato di massima allerta, ma Mosca ha dichiarato si essere in contatto con tutti e disponibile a una transizione pacifica. I russi hanno bombardato in maniera molto blanda l'avanzata dei ribelli. Segnale di un probabile accordo sotto banco fra Putin ed Erdogan per mantenere almeno la strategica base navale sul Mediterraneo ereditata dall'Urss.
Un altro rischio è che se torneranno gli oppositori del regime fuggiti in Europa all'inizio del conflitto potrebbero, in senso inverso arrivare nuovi profughi che non si trovano a loro agio con i «talebuoni».
Solo nella prima settimana di offensiva gli sfollati erano 230mila. Il tempo ci farà capire se la Siria diventerà un Paese moderno, senza guerre, oppure rifugio sicuro per estremisti salafiti e terroristi, come l'Afghanistan, una mina innescata nel cuore del Medioriente.
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