Joe Biden alza ancora il tiro contro Vladimir Putin e dopo aver definito il leader russo dittatore, macellaio, criminale di guerra, lo accusa di genocidio per le atrocità commesse in Ucraina. Sino ad ora il presidente Usa aveva evitato questa designazione, ma ora crede che sia giustificata dalle scene di devastazione emerse dalle città in precedenza invase dalle truppe di Mosca. «Il vostro bilancio familiare, la vostra possibilità di fare il pieno non dovrebbe dipendere dal fatto che un dittatore dichiara guerra e commette genocidio dall'altra parte del mondo», ha detto Biden nel corso di un discorso agli americani: parole che anche in questo caso hanno sollevato polemiche, ma stavolta la Casa Bianca non è intervenuta per correggere il tiro. Anzi è stato il Comandante in Capo a tornare sull'argomento poche ore dopo, assicurando che il riferimento a Putin era del tutto voluto. «Lasceremo agli avvocati decidere come qualificarlo a livello internazionale - ha sottolineato - ma di sicuro è quello che sembra a me». «Ho parlato di genocidio perché è sempre più chiaro che Putin sta cercando di cancellare l'idea di essere ucraini», ha proseguito dopo aver accusato il leader del Cremlino del crimine più efferato.
Le sue frasi hanno subito ricevuto il plauso del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che dalla settimana scorsa accusa la Russia di aver commesso un genocidio nel suo Paese: «Parole vere da un vero leader», ha scritto su Twitter. «Chiamare le cose con il loro nome è essenziale per resistere al male - ha continuato -. Siamo grati per l'assistenza che gli Stati Uniti hanno fornito finora e abbiamo urgente bisogno di armi più pesanti per prevenire ulteriori atrocità russe». E la vice premier Olha Stefanishyna ha sottolineato come «la maggior parte della popolazione deve essere uccisa o mandata nei campi di lavoro, questo si legge nei piani russi per l'Ucraina, questo succede nel 21esimo secolo. Quella di Mosca e' una violenza con un'intenzione genocida».
Reazione decisamente più tiepida rispetto a quella di Zelensky è arrivata dal presidente francese Emmanuel Macron, il quale non ha usato il termine «genocidio» come il suo omologo statunitense, mettendo in dubbio l'utilità di una «escalation di parole» per porre fine alla guerra e dicendo di voler essere «attento ai termini». «Direi che la Russia ha iniziato unilateralmente una guerra brutale, che è ormai accertato che crimini di guerra sono stati commessi dall'esercito russo e che ora dobbiamo trovare i responsabili», ha spiegato. «È una follia quello che sta succedendo, una brutalità inaudita, ma allo stesso tempo sto guardando i fatti e voglio cercare il più possibile di continuare a essere in grado di fermare questo conflitto e ricostruire la pace - ha ribadito - non sono sicuro che l'escalation di parole servirà alla causa». D'altronde fino a domenica anche i massimi consiglieri di Biden avevano minimizzato l'importanza di designare le azioni della Russia in Ucraina come genocidio, e lo stesso presidente Usa la settimana scorsa ha detto che non era in corso un genocidio. In seguito, però, ci sono state le immagini drammatiche di Bucha e di altre città, che lo hanno spinto ad una nuova escalation della retorica.
Una mossa criticata duramente dal Cremlino, secondo cui l'accusa a Putin è «inaccettabile», e anche dalla Cina.
Pechino «ha sempre sostenuto che sull'Ucraina la massima priorità per tutte le parti interessate è mantenere la calma e la moderazione, cessare il fuoco e fermare la guerra il prima possibile, evitando una crisi umanitaria su larga scala», ha commentato il portavoce del ministero degli Esteri, Zhao Lijian: «Qualsiasi sforzo della comunità internazionale dovrebbe raffreddare la tensione, non alimentarla, e dovrebbe spingere per una soluzione diplomatica, non aggravare ulteriormente gli scenari».
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